Il commento della settimana Andrea Fabozzi | «Non ci lasciamo qui», la promessa di Elly Schlein alla piazza del Pd è innanzitutto un augurio a se stessa. Davanti ai militanti del suo partito, la segretaria trova quel coraggio che troppo frequentemente dimentica quando torna tra i «capibastone» – definizione sua – del Pd. Ha fatto un buon discorso ieri in piazza del Popolo a Roma. Ha trovato le parole giuste quasi su ogni argomento, persino quello più urgente e che più lasciava presagire male, viste le prudenze e i divieti dei giorni scorsi: la guerra di Israele a Gaza. «La brutalità di Hamas», ha detto, «non giustifica le brutalità sui palestinesi, il massacro dei civili, le bombe che cadono sulle scuole, sugli ospedali e sui campi profughi». «La popolazione di Gaza», ha aggiunto, «già prima viveva in una condizione insostenibile, le loro sofferenze non valgono di meno. Hamas non rappresenta il popolo palestinese». Schlein ha anche ricordato come «la legittima aspirazione a uno stato palestinese» sia diventata «un miraggio a causa degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania, persistente violazione del diritto internazionale».
Sono cose che da tempo dice l’Onu, a costo di prendersi l’accusa di antisemitismo. E che, andando avanti sempre più pesantemente la punizione collettiva di Netanyahu, cominciano a dire anche i più prudenti tra i capi di stato. Ma restano ancora parole difficili e rare nel partito di cui Schlein è segretaria. Non a caso nessuno dei tanti oratori che l’hanno preceduta ieri sul palco (con l’eccezione del presidente dell’Arci) ha chiesto a gran voce il cessate il fuoco come ha fatto lei. Nel frattempo però, mentre Schlein diceva quelle cose, nella piazza le bandiere della Palestina, quelle che esprimono «la legittima aspettativa» del suo popolo, non c’erano. Se sono apparse, appena tre o quattro, è stato solo per qualche minuto. Tirate immediatamente via dalle forze dell’ordine che hanno anche ammonito chi ci ha tentato non si sa in nome di quale legge. Bandiere considerate una minaccia all’ordine pubblico, perché il Pd, in quella piazza, non le voleva.
Non fosse stato così, magari qualche militante del partito democratico l’avrebbe portato volentieri con sé quel vessillo che rappresenta i civili «le cui sofferenze non valgono meno». Magari l’avrebbe sventolato in alto, sentendo la segretaria dire che «niente può giustificare le brutalità che la Palestina sta subendo». Invece no e a noi resta così un’altra prova delle ambiguità del Pd. Che si incaglia in decisioni illogiche – il divieto di bandiera, il servizio d’ordine a vigilare con l’ausilio della Digos – pur di non affrontare i suoi problemi interni e non sfidare i moderatismi che lo avviluppano. La bandiera è un pezzo di stoffa, non è un’arma. La bandiera di uno stato che non può nascere «per le persistenti violazioni del diritto internazionale» andrebbe alzata più in alto, non nascosta e temuta. La bandiera è sempre un simbolo e da ieri lo è anche la bandiera mancata, un simbolo del guado che Schlein ancora non varca.
Intanto a Londra scendevano in strada quasi un milione di persone e le bandiere della Palestina erano ovunque. Niente di lontanamente paragonabile è accaduto a Roma. Dove però il Pd da solo – i leader dei partiti alleati erano presenti in visita, senza popolo – ha comunque riempito una piazza. Per la segretaria una bella prova che la accompagna al tempo delle scelte non più rinviabili. Considerata ancora un corpo estraneo dalle correnti del suo partito, vorrà sfidarle sulle scelte politiche importanti? La nettezza delle sue dichiarazioni di principio, diventerà azione politica concreta? Oppure la segretaria sceglierà di rimandare ancora, affidando – come altri prima di lei – la resa dei conti interna alle elezioni europee? È probabile che Schlein stia pensando proprio a questo, di fare di quel voto una sorta di secondo congresso. Sperando di portare a casa un successo, una percentuale sufficiente per avere la forza di imporsi definitivamente sulle prudenze dei «capibastone». Rischia di essere una scommessa sbagliata. Perché alle elezioni europee mancano oltre sei mesi, nel frattempo il Pd con il moderatismo e le indecisioni può solo rattrappire (ieri un sondaggio lanciava i primi segnali). Molto tempo per provare a cambiarlo non c’è.
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