Il commento della settimana Micaela Bongi | Il Pd è rinnovabile? Il M5S è compatibile? Un cacicco è per sempre? Precipitata nel labirinto degli specchi pugliese dove nulla è come appare, Elly Schelin deve uscirne trovando il modo di riportare a casa non solo la sua leadership fino alle prossime, lontanissime elezioni politiche.
Ma anche affrontando i nodi che con la sua ascesa alla guida del Pd si era prefissa – e con una buona dose di caparbietà, di fronte al tiro incrociato immediatamente scattato nel partito – di sciogliere o tagliare di netto. Le ultime settimane Schlein le ha passate sulle montagne russe: la vittoria in Sardegna aveva aperto prospettive inedite al campo “largo”, “progressista”, “giusto” o che quel che sarà (e già questa indefinitezza imposta da un Giuseppe Conte apparentemente pronto a cementare l’alleanza era più che sospetta).
La sconfitta in Abruzzo aveva frenato gli entusiasmi e rianimato i nemici interni della segretaria e dell’asse giallo-rosso, ma non troppo. L’Helzapoppin’ della Basilicata aveva gettato nello sconforto, ma in fondo poco male, il candidato unitario in extremis è stato trovato e l’incredibile vicenda è stata sepolta tra i brutti ricordi al punto che i leader sembrano anche essersi dimenticati che in quella regione si voterà tra due settimane. E poi, ecco Bari, la città del sindaco più amato, la Puglia della “primavera” (e, coincidenza, la Puglia di Giuseppe Conte), dove dopo vent’anni di governo del centrosinistra tutto precipita e l’idea del rinnovamento del Pd torna a essere una chimera e l’alleanza con i 5 Stelle un simulacro.
La Puglia come metafora di un partito irrisolto e senza linea non perché ha troppe linee che confliggono tra loro, ma perché nato per essere un partito di governo è subito diventato partito di potere. E di potentati: in Puglia ma anche in Campania, in Toscana, nel Lazio… Sono sempre lì i cacicchi e i capibastone che la segretaria diceva di non voler più vedere, i collettori di voti pronti a indirizzare i loro pacchetti in base alle convenienze o a usarli come armi di deterrenza, il trasformismo che cresce di pari passo con l’accresciuto potere dei moltiplicatori di pani e di pesci. La segretaria per questo motivo si è opposta con nettezza alla cancellazione del tetto dei due mandati e sta cercando di costruire – con fortissime resistenze – liste per le europee che con alcune candidature civiche e la sua stessa presenza dovrebbero rianimare lo spirito dei gazebo che la hanno portata alla guida del Pd.
Ma il rinnovamento non si fa con una manciata di nomi, per quanto di prestigio. Si fa nei famosi territori, che vanno battuti e disossati palmo a palmo. E costruendo anche alleanze virtuose prima di tutto dentro al partito, aprendo porte e finestre. Con gli “inner circle” non si va lontano.
Quanto alla possibilità, passata la buriana e scavallate le europee, di costruire una alleanza con il movimento 5 Stelle, al momento sembra quasi lunare. Il leader dei 5S ha sferrato un colpo basso proprio alla segretaria del Pd, con l’azzeramento delle primarie come dato di fatto (poco importa quando e con una conversazione quanto lunga Conte lo abbia «comunicato» a Schlein). E l’argomento di averlo fatto in nome della legalità è chiaramente capzioso, visto che sul motivo per cui i 5Stelle non abbiano contestualmente deciso di uscire dalla giunta e dalla maggioranza della regione Puglia, Conte si rifiuta di rispondere.
Il leader just in time ha deciso di riconvertirsi in fretta per capitalizzare i guai del Pd alle europee, sognando il sorpasso. Comunque andrà quel voto, dopo sarà comunque più difficile ricucire lo strappo, ammesso che l’ex premier lo voglia. E la Sardegna potrebbe restare a lungo un caso isolato, un’isola felice dove è stato costruito un sodalizio politico senza sgambetti, avendo chiaro in testa qual era l’obiettivo comune: battere la pessima destra al governo della regione. A farlo sono state soprattutto due donne, Elly Schlein e Alessandra Todde. Sarà un caso?
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