Cultura
Ngugi wa Thiong’O, le parole spezzate della gabbia coloniale
Intervista Parla lo scrittore keniota, considerato una delle voci più autorevoli dell’Africa. Autore del saggio «Decolonizzare la mente» (Jaca Book), rivendica la scelta di non scrivere più i suoi romanzi in inglese, ritenuta la lingua di un imperialismo postcoloniale e culturale che tiene ancora in scacco un intero continente
«Ode-Lay Mask» di John Goba.
Intervista Parla lo scrittore keniota, considerato una delle voci più autorevoli dell’Africa. Autore del saggio «Decolonizzare la mente» (Jaca Book), rivendica la scelta di non scrivere più i suoi romanzi in inglese, ritenuta la lingua di un imperialismo postcoloniale e culturale che tiene ancora in scacco un intero continente
Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 23 luglio 2015
«Nella vecchia scuola, gli insegnanti ci parlavano di re africani, come Shaka e Cethswayo. Accennavano alla conquista e all’occupazione bianca in Sudafrica e Kenya. Invece ora l’accento cade su esploratori bianchi come Livingstone. Impariamo che i bianchi avevano scoperto il monte Kenya e molti dei nostri laghi, compreso il lago Victoria. Nella vecchia scuola il Kenya era un paese di neri. In quella nuova, si dice che il Kenya, così come il Sudafrica, era scarsamente popolato prima dell’arrivo dei bianchi e perciò i bianchi avevano occupato aree disabitate. I bianchi avevano portato la medicina, il progresso, la pace». In Sogni...