Tsipras aiuta le sfide d’autunno
Non mi stupisce che i media mainstream, a cominciare da Repubblica e compreso il Fatto quotidiano, presentino la decisione del Governo Tsipras di andare alle elezioni come una sconfitta o […]
Non mi stupisce che i media mainstream, a cominciare da Repubblica e compreso il Fatto quotidiano, presentino la decisione del Governo Tsipras di andare alle elezioni come una sconfitta o […]
Non mi stupisce che i media mainstream, a cominciare da Repubblica e compreso il Fatto quotidiano, presentino la decisione del Governo Tsipras di andare alle elezioni come una sconfitta o addirittura la fine di quella esperienza. Non fanno che aspettarselo da gennaio e di dirlo in ogni occasione. Mi colpisce piuttosto che tra di noi qualcuno la pensi così, per lamentare un’esperienza finita o per gettare la croce sul cedimento di luglio. Due posizioni che mi sembrano entrambe orfane della politica.
Credo che chi la pensa così in realtà ignori del tutto il contesto in cui la partita si gioca (quello europeo, segnato da un feroce rapporto di forza), la dimensione dinamica di essa (non c’è una mossa definitiva, fine a se stessa, in cui si vince o si perde tutto, ma un quadro in movimento in cui la mossa di ognuno influisce sulle posizioni degli altri), la natura dei protagonisti in campo (si pensa davvero che Alexis Tsipras da eroe omerico sia diventato di colpo un rinunciatario o addirittura un «traditore»?).
Voglio allora dirlo nel modo più netto possibile: io credo che la decisione di andare a elezioni anticipate da parte del Governo di sinistra greco sia un esempio di «Grande politica». Anziché perdersi in alambicchi e campagne acquisti per rosicchiare consensi tra le componenti di Syriza (comprese quelle che hanno rifiutato il Congresso puntando alla scissione), Tsipras ha scelto di tagliare i nodi e di rivolgersi all’elettorato greco come «sovrano», con una prova di spirito democratico assente in tutte le altre classi politiche europee, e insieme di coraggio. Non si è dimesso perché «ha perso», ma perché «vuole vincere».
La ragione non solo tattica ma strategica delle dimissioni non è la «fine della sua maggioranza» – che probabilmente avrebbe potuto raggranellare in qualche modo – ma al contrario il bisogno di una più chiara e più forte maggioranza: la volontà di essere pronto, nelle migliori condizioni possibili (cioè con una «propria» maggioranza, coesa e determinata) per le sfide d’autunno, che saranno dure e alte: la questione del debito in Europa – messa in agenda globale grazie alla sua politica -, la gestione della crisi sociale in Grecia, la necessità di allargare il fronte dell’opposizione al neoliberismo e all’austerità nello spazio europeo, fuori da ogni tentazione sovranista o nazionalista, con una politica intelligente, pragmatica ed efficace (l’opposto dello schematismo ideologico dei suoi critici, di destra e di sinistra).
Lungi dall’arretrare o «ritirarsi» a me sembra che passi all’offensiva, alzando la posta e quindi, di conseguenza, cercando di portare la propria forza politica all’altezza di essa.
In autunno si giocheranno molte sfide in Europa e non solo. E si potranno produrre molti cambiamenti: nel Regno Unito, dove Corbyn promette di seppellire definitivamente la desolante eredità blairiana, negli stessi Stati Uniti dove una candidatura socialista minaccia da vicino la strapotenza dei Clinton, in Spagna naturalmente e in Portogallo… I critici di Tsipras farebbero bene a riflettere meglio piuttosto che sulle debolezze della sinistra greca, sulle contraddizioni, ben più potenzialmente esplosive, dell’establishment europeo, apparentemente onnipotente in realtà dai piedi d’argilla (a cominciare dalla Germania, tanto più dopo la «sindrome cinese»).
E magari anche a capire, anziché come rendere più acida la damnatio memoriae dell’esperienza greca, a come rendere più forte la nostra iniziativa, in Italia e in Europa, in modo da non lasciare più a lungo Atene sola (tanto sola quanto fu lasciata Praga nel ’68, come è stato giustamente scritto).
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