Tutti i numeri dell’Italia sempre sconfitta
Rugby Gli azzurri si presentano sabato all’ultimo appuntamento con il Sei Nazioni 2018 con il cucchiaio di legno già in bacheca e un più che possibile whitewash in arrivo. Hanno perso gli ultimi sedici match del torneo. Alle 18 saranno in campo all'Olimpico contro la Scozia
Rugby Gli azzurri si presentano sabato all’ultimo appuntamento con il Sei Nazioni 2018 con il cucchiaio di legno già in bacheca e un più che possibile whitewash in arrivo. Hanno perso gli ultimi sedici match del torneo. Alle 18 saranno in campo all'Olimpico contro la Scozia
La nazionale italiana di rugby si presenta all’ultimo appuntamento con il Sei Nazioni 2018 con il cucchiaio di legno già in bacheca e un più che possibile whitewash in arrivo. Gli azzurri hanno perso gli ultimi sedici match del torneo. L’ultima vittoria risale al 15 febbraio 2015, quando a Edimburgo gli azzurri riuscirono a sconfiggere la Scozia, l’avversaria di domani. Chi temeva un Sei Nazioni amaro per il nostro rugby è stato facile profeta ma nessuno, d’altra parte, poteva seriamente pensare che le cose potessero andare in altro modo: troppi sono i problemi da risolvere e lunga è la strada da percorrere.
I numeri raccontano
Nei quattro match fin qui disputati l’Italia ha accumulato un passivo di 174 punti contro i 65 all’attivo (-109). Ha realizzato 9 mete e ne ha subite 23. La sconfitta più pesante è quella di Dublino nella seconda giornata (47 punti di scarto), quella più contenuta è giunta alla terza giornata, sempre in trasferta contro la Francia (-17), formazione poco prolifera ma sicuramente arcigna (7 mete a 5 in questa edizione).
Tutte e nove le mete italiane – con l’eccezione della meta tecnica contro i francesi – sono state realizzate dai trequarti, segno che con O’Shea qualcosa è certamente cambiato nel gioco, ora meglio attrezzato nelle fasi in campo aperto ma assai meno competitivo nelle mischie chiuse (un tempo nostro punto di forza) e nei cosiddetti break down. Nel Sei Nazioni 2016, con la guida di Jacques Brunel, l’Italia aveva messo a segno in tutto 8 mete; la scorsa edizione, con O’Shea in panchina, le mete erano state 6. Nel quadriennio della gestione di Nick Mallett, teorico del “primo: non prenderle”, gli azzurri viaggiavano a una media di 4,7 mete a torneo.
Al netto dei troppi errori di esecuzione, gli azzurri attaccano meglio in campo aperto ma difendono decisamente male: molte delle mete subite sono giunte per errori nella copertura e per placcaggi sbagliati. Anche qui, i numeri raccontano: nelle quattro partite fin qui disputate gli azzurri hanno effettuato un totale di 664 placcaggi per una media di 166 a incontro. La punta più alta è 227 nel match di Parigi, il più impegnativo sul piano fisico ma anche quello in cui la difesa italiana ha funzionato meglio (soltanto il 10 per cento di placcaggi sbagliati) per poi crollare nel successivo incontro contro il Galles: 18 per cento di errori. La media azzurra di placcaggi mancati sfiora il 14 per cento, quella francese è del 10, quella irlandese è del 10,8 per cento.
L’Irlanda è la squadra che ha segnato di più: 17 mete e un totale di 136 punti. Con l’eccezione della sfida con la Francia, risolta dal drop di Sexton a tempo scaduto, i campioni hanno sempre segnato almeno quattro mete collezionando per tre volte il punto di bonus. La Francia, attualmente quarta in classifica a pari merito con l’Inghilterra, è la squadra che ha ottenuto più bonus point difensivi (2). Agli inglesi, che molti davano favoriti all’inizio del torneo, è venuto meno l’apporto offensivo (soltanto 11 mete, due sole in più dell’Italia) ma soprattutto è mancata la disciplina. Il confronto tra le due formazioni è impietoso: gli inglesi hanno concesso una media di 12 penalties a partita e per due volte si sono trovati con un uomo in meno causa cartellino giallo, mentre la media irlandese è di 5 calci di punizione contro.
Irlanda per lo Slam, azzurri in cerca di una vittoria
Sabato 17 marzo è l’ultimo turno che, come vuole la tradizione e impone il buon senso, si gioca in un’unica giornata. Comincia l’Italia (DMax, 13.30) che all’Olimpico riceve la Scozia. In altri tempi, quando gli scozzesi arrancavano alla ricerca della loro dientità ovale, gli azzurri avevano in questa sfida la loro grande chance di non chiudere il torneo all’ultimo posto. Era il match del wooden spoon, il trofeo virtuale e beffardo destinato agli ultimi in classifica e spesso abbinato al whitewash (la squadra che aveva perso tutte le partite). Poi le cose si sono complicate un po’ e il meccanismo dei bonus point ha peggiorato le cose: se non v’è dubbio su che cosa sia il whitewash (lavaggio in bianco), più difficile è stabilire chi davvero meriti il cucchiaio di legno. E’ una delle tante conseguenze delle svolte “culturali” imposte dai padroni del gioco, sempre giustificate in nome dello spettacolo ma mai del tutto commendevoli.
Dunque Italia-Scozia. Nelle terre alte quanto in quelle basse e fin giù ai borders si aspettavano qualcosa di più da questo Sei Nazioni. Eppure le sconfitte contro Galles e Irlanda sono state nette e indiscutibili almeno quanto è stata sfavillante la conquista della Calcutta Cup contro gli inglesi. Penultimi in classifica con 8 punti, gli scozzesi sanno che una bella vittoria all’Olimpico permetterebbe loro di scalare posizioni e chiudere almeno al terzo posto scavalcando o Francia o Galles e forse persino gli inglesi qualora quest’ultimi cadessero contro l’Irlanda. Ce la metteranno tutta. Per molti il loro è stato il gioco più bello da vedere in questa edizione del torneo: bello ma pasticcione, troppo spesso preso d’infilata dalle difese avversarie che hanno approfittato di passaggi mal eseguiti o troppo azzardati. Un rugby sempre sul filo del rasoio, a volte entusiasmante altre disperante.
Le chances azzurre sono ridotte al lumicino. Per venire a capo del XV del cardo occorrono almeno tre condizioni. La prima è che la difesa rasenti la perfezione e che non commetta i soliti errori negli spazi allargati, errori che hanno fin qui consentito agli avversari di infilarsi in corridoi mal presidiati; la seconda è la disciplina: Greig Laidlaw è un calciatore che non sbaglia quasi mai; la terza è che la mediana Violi-Allan sappia “leggere” la partita. Tre condizioni che devono verificarsi tutte insieme. Per la cronaca, un anno fa a Edimburgo finì 29 a 0 per gli scozzesi.
Nell’Italia c’è un solo cambio: al posto di Maxime Mbanda, infortunatosi contro il Galles, c’è Jake Polledri, al suo primo cap in azzurro. Polledri, classe 1995, è un figlio d’arte nato a Bristol, cresciuto prima nell’Hartpury College e poi, da questa stagione, nel Gloucester con il quale ha fatto il suo esordio nel massimo campionato inglese. 1,88 per 106 chili, è un flanker che sa giocare anche come terza centro.
Italia: Minozzi; Benvenuti, Bisegni, Castello, Bellini; Allan, Violi; Parisse, Polledri, Negri; Budd, Zanni; Ferrari, Ghiraldini, Lovotti.
Scozia: Hogg; Seymour, Jones, Grigg, Maitland; Russell, Laidlaw; Wilson, Watson, Barclay; Gray, Swinson; Nel, Brown, Reid.
Il secondo match in programma è Inghilterra-Irlanda (Dmax, 15.45). Gli irlandesi, con il titolo già in tasca, giocano per il Grande Slam e per la Triple Crown, il trofeo che va alla squadra delle “home unions” che batte le altre tre. Un anno fa, a ruoli invertiti, furono i trifogli a sgambettare gli inglesi, negando loro lo Slam.
Il terzo e ultimo match è Galles-Francia (Dmax, 18.00).
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