Una rincorsa che aggrava la crisi
Giorgia Meloni ha di fatto aperto la sua campagna elettorale per le europee giovedì scorso in Ungheria, al grido di «difendiamo Dio e la nostra civiltà». Toni da crociata urlati non solo in omaggio all’ospite nazionalista Viktor Orbán, ma proprio per dare il via alla cavalcata verso il voto del prossimo giugno.
Non c’è Salvini che tenga: la guerriera di dio ha sguainato la spada e alle scene drammatiche di Lampedusa, ai migranti stremati e ammassati sul molo, ha risposto con un grido di battaglia videoregistrato.
Immagine patinata e sguardo minaccioso, distanza siderale e promessa di un corpo a corpo con i disperati che invece a una speranza non hanno ancora rinunciato, ma un unico destino li accomuna perché tutti colpevoli, «illegali» in quanto vivi perché sopravvissuti alle guerre, al deserto, alle torture, alla traversata in mare.
La sorella d’Italia non si fa cogliere impreparata nella sfida a destra contro il campione della guerra ai «clandestini»: non prima gli italiani, ma soltanto gli italiani; non la sola marina militare italiana schierata davanti alle coste africane per bloccare i barconi, ma una missione navale europea con lo stesso scopo; non ipotetiche espulsioni, ma espulsioni «effettive» previa detenzione di massa in centri «perimetrati» e sorvegliati dai militari.
Il messaggio dovrebbe arrivate forte e chiaro al di là del Mediterraneo: non provate a varcare i nostri patri confini costi quel che costi, non vi conviene.
Un messaggio tanto feroce, sinceramente feroce, è allo stesso tempo una dichiarazione di impotenza e la stessa impotenza alimenta la ferocia. Travolta dal fallimento delle sue ricette, la premier non rinuncia a proporne di nuove e più drastiche, tanto estreme quanto vane.
Il piano Mattei che renderà tutti più ricchi e felici a casa loro può attendere. L’esternalizzazione delle frontiere (si chiama così la pratica di lasciare ad altri il lavoro sporco, in Libia o nella Tunisia di Saied dove chi cerca una vita altrove viene lasciato morire di sete nel deserto) non sta dando i risultati sperati.
Si vedrà. Ma sia chiaro che la guardia non è abbassata: abbiate fiducia, le nuove grandi prigioni circondate dall’esercito sono praticamente già in costruzione e se probabilmente (e sperabilmente) non si vedranno mai anche perché vanno finanziate, l’importante è crederci.
I blocchi navali sono irrealizzabili ma si può sempre dare la colpa all’Europa. Quell’Europa che la premier chiama in causa portando Ursula von der Leyen a Lampedusa.
Del resto tutti i paesi Ue sono in campagna elettorale (in alcuni casi anche per elezioni interne), e la stessa presidente della Commissione è in campo per un nuovo mandato, e a fare dell’immigrazione il campo di battaglia non rinuncia nessuno. Aumento dei poliziotti alle frontiere (in Francia), disattivazione dei meccanismi di accoglienza (in Germania), promessa di blindare i confini continentali.
E la corsa elettorale rischia di diventare sempre di più una gara di disumanità che impedisce di mettere in campo risposte concrete, reali e soprattutto dignitose.
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