Una semplice e colta dichiarazione di libertà
La prima pagina del 19 dicembre 1997 a 50.000 lire – il manifesto
Editoriale

Una semplice e colta dichiarazione di libertà

Quello che ci resta Quello che ci resta è questo giornale che amiamo e talvolta detestiamo, perché non ci basta, perché è meno dei nostri desideri, come era meno dei desideri di Luigi, ma per cui ha combattuto con tutte le forze fino all'ultimo
Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 18 maggio 2013

Quello che ci resta è un ultimo corsivo non scritto, ma inciso in ogni pagina che da oggi leggeremo. La certezza che si può restare puliti, ironici, attenti agli altri fino all’ultimo giorno. Quello che ci resta è che ogni parola scritta da Luigi non potrà essere rivoltata, cancellata, plastificata da nessuna storia, da nessun tirannello, da nessuna commemorazione.

Perché Luigi sapeva scrivere in venti righe quello che noi scrivevamo in duecento, e noi continueremo a cercare il segreto e l’energia luminosa di quella scrittura, senza raggiungerla mai, ma pieni di forza, perché l’abbiamo vista brillare.

Quello che restano sono i suoi dolori, il suo pudore, la capacità di dimenticarli e di occuparsi dei nostri.

Le sue rabbie rapide, concluse da un sospiro e da un sorriso.

La sua faccia da fenicio, i suoi jeans da giovanotto, i milioni di sigarette rivendicate.

Quello che ci resta è Servabo.

E tutte le volte che avevo un dubbio su un pezzo e chiedevo, per favore fatelo leggere a Luigi, e il suo calmo imprimatur, «va bene, stai tranquillo».

E i dubbi sui suoi libri, e il parlarmene con umiltà.

Mi resta il ricordo comune di un mare sardo agitato e oscuro, e la sua voce coperta dal vento che diceva: «è bello anche così».

Quello che ci resta è così complesso, generoso, forte che ci vorranno anni per dipanarlo, riascoltarlo, amarlo in nuovo modo, e cercare di portarne a termine anche una piccola parte.

Quello che ci resta è questo giornale che amiamo e talvolta detestiamo, perché non ci basta, perché è meno dei nostri desideri, come era meno dei desideri di Luigi, ma per cui ha combattuto con tutte le forze fino all’ultimo.

Quello che ci resta è la sua forza e la sua grazia.

Ci resta il rimorso di non avergli parlato abbastanza, sentimento da cui lui ci avrebbe liberato con una battuta, o una risata.

Quello che ci resta è molto, è troppo, è felicemente troppo. Sono sicuro che la consapevolezza di questo dono ha accompagnato Luigi negli ultimi giorni.

Non solo i dolori e le delusioni, ma il viaggio vittorioso di una grande, fertile lezione di vita e di coraggio.

Quello che ci resta è la semplice e colta dichiarazione di libertà di un cittadino del mondo.

Sono stato breve per una volta, Luigi.

Come vedi ho imparato.

A si bbiri

 

Dal manifesto del 18 maggio 2003

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