Gli affari sporchi di «quelli di sopra»
Quando qualcuno strepita in nome della sicurezza, si sente invariabilmente odore di corruzione. Vi ricordare Penati, lo sceriffo di Sesto san Giovanni ossessionato dalla legalità e salvato dalla prescrizione? E […]
Quando qualcuno strepita in nome della sicurezza, si sente invariabilmente odore di corruzione. Vi ricordare Penati, lo sceriffo di Sesto san Giovanni ossessionato dalla legalità e salvato dalla prescrizione? E […]
Quando qualcuno strepita in nome della sicurezza, si sente invariabilmente odore di corruzione. Vi ricordare Penati, lo sceriffo di Sesto san Giovanni ossessionato dalla legalità e salvato dalla prescrizione? E che dire di Bossi, l’uomo che si faceva rifare la casa con i rimborsi elettorali, mentre scagliava la Lega contro gli immigrati? La storia d’Italia degli ultimi venticinque anni abbonda di episodi come questi. L’ipotesi di fondo è sempre stata che i tutori della legge e dell’ordine volessero deviare l’attenzione del pubblico su capri espiatori facili facili. Ma ora, la straordinaria vicenda della cupola romana permette di aggiustare il tiro.
Andiamo con ordine. Una gang guidata da uno della Magliana si infiltra nell’amministrazione locale in collaborazione con uomini delle cooperative «rosse» e del terzo settore. Questa gente di «sotto» collabora nella terra di «mezzo» (terminologia di Tolkien presa da qualche nostalgico dei campi Hobbit) per fare affari con quelli di «sopra», ovvero politici fascisti, piddini e pidiellini incardinati nei luoghi di potere. La meravigliosa fotografia in cui si vede Poletti parlare cheek to cheek con Buzzi, l’omicida redento, davanti ad Alemanno, descrive perfettamente la compagnia: terzo settore, destra, sinistra, amministratori locali e, sullo sfondo, uno della banda Casamonica. E qual è il business di queste allegre tavolate? L’accoglienza dei rifugiati, la gestione dei campi rom, la spazzatura e le case sfitte, insomma i problemi umani e sociali delle periferie.
E ora facciamo qualche passo indietro. A metà novembre i fascisti aizzano la gente di Tor Sapienza contro i rifugiati, i quali sono colpevoli solo di essere tali. Per la cronaca, anche la donna che avrebbe subito lo stupro è stata coinvolta negli incidenti, non si sa se picchiata dai celerini o dai concittadini (i quali non saranno fascisti, ma nemmeno furbissimi, visto che accusano del «degrado» quelli che non c’entrano proprio, cioè gli stranieri). Pochi giorni dopo, CasaPound e Blocco studentesco manifestano davanti a una scuola, impedendo l’accesso ai bambini rom. E poi, nel giro di una settimana, esplode la bugna di mafia Capitale. Coincidenze?
Non c’è bisogno di essere complottisti per comprendere che l’ossessione dell’emergenza ha prodotto denaro sonante. Alemanno si è circondato di fascisti affaristi. Ma già Rutelli e Veltroni alimentavano la paranoia sgombrando gli insediamenti e lanciando campagne contro i romeni e rom. Ora salta fuori che sgombrare era un doppio affare per i corrotti del comune. Chiuso un campo, se ne apriva un altro, e poi lo si faceva marcire, intascando i soldi delle rette di adulti e minori, lucrando sui pasti e lasciando la gente tra i topi, in container ghiacciati d’inverno e bollenti d’estate. Naturalmente, se questi poveracci accendevano un fuoco, il quartiere protestava contro il puzzo.
Alla luce di tutto questo, l’ipotesi iniziale va cambiata. Le destre manifestano contro gli stranieri, facendosi rappresentare magari in tv da ragazzetti invasati. L’emergenza cresce. A questo punto, pezzi del terzo settore si attivano. I soldi finiscono nelle tasche di gangster e politici. E le vittime devono scappare dai quartieri scortate dalla polizia. Per ritrovarsi magari in un Cie, in cui qualcuno di una cooperativa li sottopone a una doccia contro la scabbia. Questa è l’Italia.
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