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Usa, yin e yang al super bowl

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La storia Est contro Ovest nell’evento dell’anno negli Usa. Da un lato Seattle, tra yoga e marijuana, dall’altra Boston, tra ordine e disciplina. Due culture diverse, specchio di un paese in transizione

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 1 febbraio 2015

Si gioca oggi in America il super bowl, l’incontro finale che assegna il titolo di campione della Nfl, la National Football League, la lega professionistica statunitense di football americano. Quest’anno la partita si gioca tra due squadre completamente antitetiche, da qualsiasi punto di vista le si voglia analizzare. Si tratta dei Seahawks e dei Patriots.

Geograficamente, i Seahawks sono la squadra di Seattle, sulla costa ovest, mentre i Patriots sono la squadra di Boston. Da qualche tempo si sono trasferiti a 35 chilometri dalla città, e hanno cambiato il nome in Patriots New England; in ogni caso, provengono dalla costa opposta a Seattle, quella est.

I primi sono considerati più carismatica, giocano il super bowl da campioni in carica, avendo battuto l’anno scorso i Denver Broncos. La vittoria è dipesa molto dalla velocità del giovane quarterback Russel Wilson, che ha fatto improntare il gioco su meccaniche diverse e spiazzanti per gli avversari; i secondi sono stati su tutte le prime pagine dei giornali americani per quello che è stato sobriamente titolato lo scandalo delle «palle sgonfie».

In pratica si è venuto a sapere che il loro quarterback, Tom Brady (ragazzone biondo, famoso anche per essere il marito della super modella Giselle Bundchen), ha giocato nelle partite in casa con un ovale sgonfiato, per facilitargli il gioco. Lui ha affermato di non saperne nulla, ma la sua immagine ha perso smalto.

Il giocatore simbolo della squadra di Seattle, invece, è il running back Marshawn Lynch. Proveniente da una famiglia di Oakland (con il padre che sta scontando una condanna a 24 anni per furto con scasso) è impegnato nel sociale, con una fondazione che aiuta i bambini poveri della sua città, la 1° Family Foundation, il cui obiettivo è resitituire l’autostima e dare istruzione e prospettive ai giovani svantaggiati.
Nero e con le treccine lunghe, il giocatore dei Seattle è un fenomeno mediatico, paradossalmente proprio perché odia i media, detesta essere intervistato e non ne fa mistero. Dopo aver pagato decine di migliaia di dollari di multe, per non aver voluto farsi intervistare, ha poi cominciato a presentarsi alle conferenze stampa esordendo con «Son qui per non pagare la multa» e rispondendo alle domande dei giornalisti con monosillabi a caso e con dei sarcastici «Grazie per la bella domanda», cui non seguiva nessun altro commento.

Due approcci di gioco e due culture diverse quindi, che rappresentano davvero l’America in transizione che nelle lezioni di midterm boccia Obama e contemporaneamente, tramite i referendum, chiede leggi non conservatrici che proteggano il diritto all’aborto, i matrimoni tra persone dello stesso sesso e l’uso della marijuana per uso ricreativo. Quest’ultimo argomento è un altro dei temi di questo super bowl.

A seguito degli scandali per l’assunzione di analgesici a base di oppiacei somministrati con o senza prescrizione ai giocatori della Nfl, si è aperta la discussione sull’opportunità o meno di prescrivere la marijuana come terapia del dolore.

Ben tre ex giocatori (e campioni) hanno pubblicato un articolo sull’Huffington Post chiedendo alla lega di rivedere la propria politica sull’uso della marijuana, non ottenendo nessuna risposta. Su questo tema l’allenatore dei Seahwks, Pete Carrol, si è espresso in favore dell’uso della controversa piantina che, nello stato di Washington, dove si trova Seattle, è anche legale.

Va sottolineato che Carrol è un allenatore tra i più amati, noto per promuovere un metodo di gestione della squadra poco tradizionale e viene definito un uomo dalla «positività sfrenata». Ha a cuore il morale della squadra e incoraggia i suoi uomini anche quando perdono; a scapito dell’aggressività, promuove il rispetto verso gli avversari. I suoi metodi utilizzano yoga e meditazione, ed è considerato un vero e proprio simbolo dell’«approccio da costa ovest», in grado di rispecchiarne in pieno le caratteristiche salienti. E oltre a essere molto amato da tutta la sua squadra, il 23% dei giocatori degli altri team ha dichiarato che sarebbero più che felici di essere allenati da lui.

Dall’altra parte troviamo l’allenatore dei Patriots, Bill Belichick: approccio duro, «old school», come dire, poco incline alla meditazione. Più propenso a spingere i propri atleti a spaccare le reni all’avversario, decisamente contrario all’uso di erba, anche se non è un mistero che più della metà dei giocatori americani di football la utilizzi per alleviare i dolori derivanti proprio dalla pratica di questo sport.

Questo è ciò che si affronterà in campo tra poche ore, in un anno che ha visto la lega confrontarsi con più di uno scandalo riguardante gli episodi di violenza domestica perpetrati da diversi giocatori, a scapito delle loro compagne. La violenza domestica è la causa di più della metà di tutti gli arresti dei giocatori di football. Durante il super bowl, (che come si sa non è solo un evento sportivo, bensì il più importante avvenimento mediatico dell’anno) verrà trasmesso uno spot proprio contro questo reato.

La Nfl quest’anno è stata ripetutamente criticata per aver penalizzato più i giocatori scoperti a fumare erba, rispetto a quelli ripresi mentre picchiavano la propria fidanzata.
L’esempio più rappresentativo è quello che ha riguardato il divieto di gioco per un anno a causa dell’uso di marijuana per Josh Gordon, giocatore dei Cleveland Browns, mentre la punizione per Ray Rice, al momento senza una squadra, catturato dalle telecamere di sorveglianza di un albergo mentre picchiava la sua compagna fino a farla cadere per terra, è stata di appena due turni di sospensione.

Le sanzioni sono state poi rispettivamente ridotte ed allungate, ma il dato resta e il super bowl si presenta ancora una volta come specchio dell’America, al momento in transizione, probabilmente verso il meglio.

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