L’eredità di quella Liberazione
Stando alla cronaca dei festeggiamenti di questo 25 aprile dovremmo concludere che l’anniversario della Liberazione è una festa e un’occasione che divide il nostro popolo? È stato già detto e […]
Stando alla cronaca dei festeggiamenti di questo 25 aprile dovremmo concludere che l’anniversario della Liberazione è una festa e un’occasione che divide il nostro popolo? È stato già detto e […]
Stando alla cronaca dei festeggiamenti di questo 25 aprile dovremmo concludere che l’anniversario della Liberazione è una festa e un’occasione che divide il nostro popolo?
È stato già detto e ridetto che nessuno può essere escluso da una festa di popolo. Così come a nessuno si deve consentire di monopolizzare la festa per fare prevalere le proprie ragioni.
La realtà dimostra che è più facile dirlo che farlo.
Si tratti della Brigata ebraica o delle rappresentanze palestinesi, il pretesto per rompere l’unità dei festeggiamenti si trova facilmente.
Ma chi opera la divisione dimentica almeno due cose.
La prima, la distanza di tempo che ci separa dalla lotta di liberazione (siamo al 72esimo anno!). La seconda, la complessità della situazione nella quale ci troviamo oggi (altrettanto complessa ma al tempo stesso diversa da quella di 72 anni fa).
Tutto questo per dire che cosa? Che nulla può essere come 72 anni fa: ci sono ricambi generazionali e ogni generazione ha il diritto di dare al 25 aprile il senso che ritiene più appropriato una volta esclusi i fascisti.
Il rispetto della storia non può indurci a credere che tutto sia rimasto come prima: questo sì che sarebbe un modo per fare violenza alla storia. In secondo luogo è cambiato lo spettro della realtà geopolitica internazionale. Anche di questo si deve essere consapevoli se si vuole rimanere dentro la storia.
Tenere insieme la dimensione di queste diversità è il prezzo e l’onere cui si deve fare fronte per salvare il consenso al 25 aprile, alla Liberazione, e non relegarlo come un episodio del passato che non ha più nulla da dire al presente. A rileggere le lettere dei caduti e dei condannati a morte della Resistenza si ha tra le tante altre cose la percezione di una apertura al futuro che ci è stata consegnata. Assieme all’obbligo di non dimenticare, c’è anche l’imperativo di fare vivere i valori per i quali essi avevano combattuto e si erano sacrificati.
Farli vivere oggi significa inevitabilmente colpire nervi scoperti della nostra società e del nostro mondo. Le violenze, le forme di oppressione che abbiamo combattuto sono presenti in parti determinate del mondo. Per questo il fatto che curdi piuttosto che palestinesi condividano il nostro 25 aprile è il segno che i valori della nostra Resistenza sono valori di tutti. Aldilà di ogni ostacolo e di ogni frontiera.
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