Lettere

La notte dove tutte le vacche sono nere: un gentlemen d’altri tempi, Batista, Fidel e un «quotidiano comunista»

Lettere Álvar González Palacios lasciò la nativa Cuba nel 1957, per studiare Storia dell’Arte in Italia, diventando uno dei massimi esperti di arti decorative. Gentiluomo d’altri tempi, a suo agio tra […]

Pubblicato più di 2 anni fa

Álvar González Palacios lasciò la nativa Cuba nel 1957, per studiare Storia dell’Arte in Italia, diventando uno dei massimi esperti di arti decorative. Gentiluomo d’altri tempi, a suo agio tra musei, collezionisti e case principesche, ha avuto una vita ricca d’incontri, di studi e letture.

Álvar è decisamente elitista e anticastrista, tanto da non essere più tornato a Cuba dopo il 1959, ma ha una vasta cultura e può essere accettabile che il manifesto quotidiano comunista ospiti suoi articoli.

Certo è che se scritti, come quelli sulle dimore dell’aristocrazia inglese, hanno interesse storico, lascia perplessi che il manifesto accolga articoli come quello sull’aristocratica Domietta Del Drago (il manifesto, 18 luglio 2021), icona di eleganza, dotata di vari talenti, tanto da collaborare con Luchino Visconti, ma personaggio di scarso rilievo, al di fuori delle cronache mondane.

Ma, se ciò può essere, in certa misura, tollerabile (sempre più la gente vuol sognare), è, invece, inaccettabile che il manifesto abbia permesso che Álvar González Palacios terminasse la recensione del mio libro (24 aprile 2022), L’Avana déco: arte cultura, società, con la frase: «All’arrivo della nuova dittatura, verso il 1959, Lidia lasciò per sempre Cuba e subito dopo la sua dimora fu rasa al suolo».

Nonostante le opinioni di Álvar González Palacios siano radicalmente diverse dalle mie, nutro simpatia verso di lui, non sono una rigida “fondamentalista” marxista. Ma che un “quotidiano comunista” accetti che Fidel venga equiparato a Batista, senza distinguo, e permetta che si attribuisca, seppur metaforicamente, alla Rivoluzione l’aver fatto terra bruciata della vita culturale del paese (Lydia Cabrera fu un’importante intellettuale) è inaccettabile.

Nel 1959, con la Rivoluzione, a Cuba non arrivò una «nuova dittatura», fu un cambio epocale.

A un regime marcato da sfruttamento, corruzione, laceranti disuguaglianze, violenza, mafia subentrò un governo che poneva al primo posto l’uguaglianza, l’educazione e il diritto alle cure mediche per tutti, la restituzione della dignità umana a persone che vivevano come schiavi.

Questo non vuol dire che Cuba si trasformò in un paradiso. Furono fatti anche  sbagli, come la persecuzione degli omosessuali (peraltro penalizzati all’ora, come ora, in molti altri paesi), terribile errore poi riconosciuto dallo stesso Fidel.

Ci furono scelte economiche sbagliate. Cuba ha i suoi problemi. Ma quali sono i paesi che non ne hanno? In Italia, una delle sette potenze industriali, si continua a morire per la mala sanità; la strategia della tensione, ordita dall’estrema destra, con la collusione di apparati dello stato, e appoggiata dalla Nato (lo attestano le carte giudiziarie) ha fatto tantissime vittime, che ancora attendono giustizia e risarcimenti.

Puntare i fari sui diritti umani a Cuba è ingiusto, mistificante e manipolatorio. In Italia ci sono persone che marciscono in carcere, in attesa di giudizio e altre, all’opposto, colpevoli, a piede libero.

Negli Usa sono finite sulla sedia elettrica persone, per lo più afroamericane, poi riconosciute innocenti. Matteo Renzi ha stretti rapporti con l’Arabia Saudita, che ha fatto tagliare a pezzi un suo scomodo giornalista in una sede diplomatica. Mangiare è un diritto umano basilare. Eppure, le multinazionali, con politiche scellerate, riducono alla fame intere popolazioni.

Cuba, nonostante l’embargo, e le tante difficoltà, ha prodotto un suo vaccino, che non si vuole circoli nel mondo. Pfizer non si è ancora arricchita abbastanza?

Cuba è un piccolo stato sotto assedio, non sempre può prendere le decisioni, anche in tema di libertà di stampa, che, a un occhio esterno, potrebbero sembrare le più ovvie.

Non concordo, infatti, con il Fiat veritas et pereat mundus di Hannah Arendt, che piace tanto a Tania Bruguera. Comunque sia, la libertà di stampa nei paesi cosiddetti democratici è spesso lettera morta.

Gabriella Ferri cantava: «tanto di tutto tanto di niente le parole di tanta gente». In Europa e negli USA di giornali ce ne sono fin troppi e, spesso, come nella canzone, non dicono proprio nulla, non informano: fanno solo il lavaggio mediatico al cervello delle persone.

Nonostante l’embargo, Cuba segue, seppur con tante difficoltà, dignitosamente per il suo cammino.

Il revisionismo storico è dilagante, l’ignoranza della storia pure. Eduardo Galeano ha detto che contro Cuba si applica sempre la lente d’ingrandimento, che focalizza aspetti negativi, ingigantendoli, secondo la convenienza del momento e del nemico. Mentre degli aspetti positivi non si parla, per fare un esempio, del vaccino cubano trattano in pochissimi.

Lo stesso Galeano affermò che lui non applaude a tutto quello che Cuba fa. Neanche io, pur amando questo paese, su alcune scelte non sono pienamente d’accordo. Ma, come diceva Galeano, penso che il vero amico è anche quello che critica di fronte, sempre che la critica sia costruttiva.

Detto tutto ciò, non è tollerabile che il manifesto pubblichi un articolo, come quello di Álvar González Palacios, che equipara la Cuba di oggi alla dittatura di Batista.

Altrimenti, il giornale ha il dovere morale di chiedersi se non sia, a questo punto, opportuno eliminare dalla testata la dicitura «quotidiano comunista».

In quanto a Cuba, penso che per i paesi che la attaccano valga il detto biblico: «non guardare la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello se non vedi la trave che è nel tuo occhio».