Renzi balla da solo
Dopo una mattinata in visita allo stabilimento di Calzedonia e un salto alla fiera di Vinitaly, nel pomeriggio il presidente del consiglio prende la parola alla camera dei deputati, «per […]
Dopo una mattinata in visita allo stabilimento di Calzedonia e un salto alla fiera di Vinitaly, nel pomeriggio il presidente del consiglio prende la parola alla camera dei deputati, «per […]
Dopo una mattinata in visita allo stabilimento di Calzedonia e un salto alla fiera di Vinitaly, nel pomeriggio il presidente del consiglio prende la parola alla camera dei deputati, «per parlarvi con il cuore in mano», nel discorso conclusivo prima del voto finale sulle riforme della Costituzione.
Il bagno di folla della mattina tra gli stand è quel che ci vuole per chi sa che l’aspetta un’aula semivuota dove ad ascoltarlo c’è solo la maggioranza di governo perché tutte le opposizioni hanno scelto di abbandonare i banchi di Montecitorio.
Niente arringa finale, nessun comiziaccio, questa volta Renzi sceglie toni bassi, che forse nelle intenzioni vorrebbero somigliare a un discorso solenne, adatto a quello che lui stesso definisce «passaggio storico». In realtà la puntigliosa difesa dell’opera di rottamazione costituzionale mostra un leader in affanno, del resto il momento politico, per il premier e per il suo governo, non è dei migliori. La spinta propulsiva è finita, gli scandali allungano l’ombra della questione morale e gonfiano le vele delle opposizioni.
Renzi chiama a difesa alcuni padri nobili (Dossetti e Terracini) della Repubblica, per le loro critiche alla giovane Carta che avevano da pochi anni contribuito a scrivere. Come se «gufi» e «professoroni» fossero immuni da riflessioni e ripensamenti e non avessero espresso le loro critiche, semplicemente, però, non coincidenti con quelle del presidente del consiglio.
Non ci sono applausi e le parole servono a riempire il tempo. Naturalmente Renzi difende se stesso, il suo governo, la sua legge di revisione costituzionale. Non può ringraziare il senatore Verdini (che non si fa vedere), ma può esprimere la sua gratitudine all’ex capo dello stato, Napolitano, formidabile motore dello tsunami renziano. Dopo il voto d’aula, la parola passerà al referendum-plebiscito di ottobre, quando, avverte il premier, «userò anche argomenti demagogici».
Siamo tutti avvisati per l’appuntamento d’autunno, mentre per il referendum di domenica prossima, quando saremo chiamati a dire sì o no allo spot delle trivelle, il presidente del consiglio ha scelto la linea dell’astensione.
A dirgli, chiaro e tondo, che il suo invito a disertare le urne non è degno del comportamento di un buon cittadino, è stato ieri l’ultimo disfattista, il presidente della Consulta. Proprio citando la Carta, il giudice delle leggi ricordava come faccia «parte della carta di identità del buon cittadino votare» al referendum del 17 aprile.
Ma non sempre un bravo cittadino è anche un buon politico.
Siamo convinti che il presidente Mattarella domenica andrà a votare, ci aspettiamo che oltre a farlo trovi il modo di dirlo.
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