Un cattivo compromesso
Editoriale

Un cattivo compromesso

Elezioni Mentre il patto tra Letta e Calenda, che dà il tono a tutto lo schieramento, è di sostanza, basato, in sintesi, sull’agenda Draghi, quello tra Pd e SI-Verdi è un apparentamento tecnico, pagato a caro prezzo, soprattutto dal partito di Fratoianni, spaccato quasi a metà
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 agosto 2022

L’intesa elettorale tra Pd e Sinistra italiana-Verdi non è un buon compromesso. Qualunque sia la percentuale strappata per i collegi uninominali, il problema è in primo luogo politico: mentre il patto tra Letta e Calenda, che dà il tono a tutto lo schieramento, è di sostanza, basato, in sintesi, sull’agenda Draghi, quello tra Pd e SI-Verdi è un apparentamento tecnico, pagato a caro prezzo, soprattutto dal partito di Fratoianni, spaccato quasi a metà.

Più in generale, gli attacchi quotidiani, anche ad personam, i diktat, l’arroganza con cui Calenda ha condotto le danze, ha cambiato il segno delle alleanze. Ha irriso le tematiche ambientaliste (che i Verdi di Bonelli hanno ingoiato come nulla fosse), ha relegato quelle sociali nel perimetro della solita sinistra estremista (rubando il mestiere a Berlusconi). Certo, il leader di Azione avrebbe volentieri espulso Bonelli e Fratoianni dall’alleanza e non c’è riuscito, tuttavia ha impedito che venisse firmato un testo con punti di programma. Sbilanciando così l’immagine dell’accordo.

Ma, come si dice, il difetto sta nel manico, che, in questo caso si chiama Pd. La scelta di tagliare fuori da qualsiasi incontro i 5Stelle, subito, già all’indomani della crisi di governo, ha azzoppato sul nascere la possibilità di creare un campo largo, un fronte democratico-costituzionale in grado almeno di giocare la partita contro la destra sul piano dei numeri. Al dunque, una strategia perdente per il paese, ribadita ancora ieri dal segretario del Pd («soddisfatti della scelta di Verdi-Sinistra italiana, ma il perimetro non cambia»).

A guidare l’intesa non è stato il bene generale, il senso di responsabilità, sempre rivendicato dal Nazareno, ma, al contrario, una visione corta, incentrata sull’interesse di un partito vocato a una collocazione centrista, in profonda sintonia con Azione e +Europa.
Questo esito indebolisce il fronte progressista, dà alimento all’astensione, approfondisce il solco tra i partiti e l’elettorato più giovane, ma in particolare spiana la strada all’avversario. E a sentire quel che offrono al paese Meloni, Berlusconi e Salvini (blocchi navali, flat tax, presidenzialismo e autonomia differenziata), la scelta del Pd è tanto più miope. E grave.

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