Mi pare che parlare di ciclo rivoluzionario da sei anni ad oggi sia un po’ troppo francese. Nel senso che pecca di eccessivo entusiasmo. Proprio la sequenza di tre fasi di mobilitazione in sei anni (leggi sul lavoro, gilets jaunes ed età pensionabile), tutte nate dalla base, cresciute rapidamente, massicciamente partecipate e diffuse sul territorio, di lunga durata per settimane e mesi, ma che poi tutte si sono sgonfiate e sono terminate senza ottenere niente di concreto, fa purtroppo prevedere che anche quest’ultima per l’uccisione di Nahel a Nanterre sia destinata a spengersi prima o poi. E non tanto per le capacità repressive, ormai collaudate bisogna dire, dello stato francese, quanto per l’assenza di una forza politica cui fare riferimento, in grado di rappresentare le istanze del movimento di protesta, di organizzarne le energie e le modalità di manifestazione, di difenderne le sorti e ottenere qualche risultato concreto. La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon sembra
stia provando ad assumere, con coraggio ma anche prudenza da pompiere (vedi l’invito a non danneggiare le scuole pubbliche), questo difficile e rischioso ruolo. Sarebbe importante ci riuscisse, per dare una chance di successo a questa quarta fase di mobilitazione “rivoluzionaria”, la più massiccia ed estesa di questa ancora breve storia francese.
Di certo possiamo dire questo: il confronto con l’apatia, la passività, l’infingardaggine civile, politica e sindacale italiana è impietoso. Eppure le condizioni di vita e di lavoro della nostra società sono perfino peggiori di quelle transalpine!