Il commento della settimana Maurizio Maggiani | Ho seguito la costruzione del Ponte San Giorgio. E ogni tanto mi arrivavano immagini dei lavori. Quella più bella, gioiosa e vitale che ho ricevuto non riguarda l’ultimo strallo montato a conclusione dell’opera, ma è un grande cassone di camion colmo di acqua, trasformato in piscina, con dentro una dozzina di operai che facevano il bagno, sotto il ponte, per rinfrescarsi un po’. Perché il ponte non è una semplice costruzione, è un’edificazione. Non un mattone sopra l’altro ma un’idea. E in effetti questo ponte, col suo cantiere dove sono passati quattro mila lavoratori, è un mondo che edifica. Ma adesso che c’è questa opera poetica, così luminosa perché è in una posizione studiata per fargli prendere più luce possibile, adesso: qual è la nostra luce? La nostra, quella dei genovesi, liguri, italiani,europei… Quale luce portiamo noi quando saliamo su quel viadotto? Questa è una domanda vera perché il ponte è l’unica cosa reale, materiale, di cui si possono vantare tutti: sindaco, regione, governo. E infatti erano tutti lì ad inaugurarlo, una roba sfiancante! E non so come quel ponte abbia potuto reggere tutte quelle autorità in una botta sola. Ora lì su non c’è più Renzo Piano, non ci sono più le autorità, ci siamo noi. Ora questa città nobile, antica, superba – che vuol dire signorile e sovrana – sale sul ponte per andare dove? Non credo che Genova lo sappia ancora. |