Il commento della settimana Paolo Favilli | Quasi vent’anni fa Sergio Luzzatto si chiedeva quale altro nome, invece di fascismo, avrebbe assunto quel fenomeno di rimozione/rifiuto della Resistenza e dei suoi esiti (la Costituzione). Esito che era ormai diventato, esplicitamente, importante componente dell’antropologia culturale italiana e delle sue espressioni politiche. «Probabilmente – scriveva – quel nuovo “ismo” ancora da battezzare, sarà una miscela di rigurgito patriottico e di anelito mistico, di religione del mercato e di ideologia dello scontro tra civiltà: sarà un “totalitarismo democratico” che pretenderà di far coincidere la globalizzazione economica con l’occidentalizzazione politica e culturale del pianeta, una guerra dopo l’altra, sempre più respingendo e privatizzando le libertà civili» (S. Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Einaudi, 2004).
La coincidenza tra questi lineamenti tracciati nei primissimi anni del nuovo secolo e il quadro del nostro presente è impressionante. I primi mesi del governo Meloni e la sintesi interpretativa illustrata dalla Presidente nella conferenza stampa di fine dicembre sono la conferma di dati di fatto non controvertibili. Una sintesi in cui convergono tendenze di lungo periodo riguardanti tanto la «religione del mercato», la «religione» dei patti lateranensi, la mistica nazionalistica che porta a distinguere tra «veri italiani» e «nemici dell’Italia».
Tale coincidenza, però, non è il frutto delle particolari capacità profetiche di Luzzatto, bensì dell’esercizio rigoroso del suo mestiere di studioso professionale di storia. Significa esercizio continuo della pratica di ricerca empirica e teorica. Solo così l’analisi delle nuove forme in cui si manifestano i percorsi carsici del fascismo, cioè della massima innovazione politica che l’Italia del Novecento ha dato al mondo, assume rilevanza conoscitiva.
Ovviamente il problema della rilevanza conoscitiva è del tutto estraneo al contesto di quella produzione ideologico/propagandistica che è il brodo di cultura di quasi tutti i politici e dell’universo mediatico in cui sono immersi. Un problema estraneo anche ad alcuni di quegli ex studiosi che non fanno più ricerca da qualche decennio, e che, galleggiando alla superficie di un mare mosso, invece, da correnti profonde, si sentono «percorsi da un brivido di emozione nel ritrovarsi governati da una giovane donna (…) minuta con i capelli biondi», e vedono in lei «una novità da non sprecare» (Corriere della Sera, 2 gennaio 2023)
Indipendentemente dal fatto che sia minuta e con i capelli biondi, l’immagine di un capo di governo italiano espressione diretta di una storia affatto interna a tutte le forme del neofascismo italiano, è, certamente, una «novità». O meglio la rivelazione al vertice del governo di una «novità» manifestatasi quasi un trentennio fa.
«After 50 Years, Fascists Return to Italian Government»: questo è il titolo di un articolo del New York Times del 29 aprile 1994. Un lungo articolo di terza pagina in cui gli alleati Fascists o neo-Fascists di Berlusconi, sono oggetto di attenta analisi. In particolare si sottolinea il loro legame costitutivo con il fascismo storico.
«Nessuno può chiederci abiure della nostra matrice fascista», aveva affermato il segretario di Alleanza Nazionale agli inizi degli anni Novanta. La qual cosa rimane convinzione profonda della Presidente Meloni che, con coerenza intellettuale e politica, ritiene la mistica della fiamma ardente sulle ceneri di Mussolini, e/o della RSI (Repubblica Sociale Italiana), riferimento irrinunciabile per la forma-fascismo di cui ella è l’attuale espressione.
Ed infatti sono proprio le politiche che derivano da questo elemento identitario a rappresentare il luogo dove può esercitarsi la «novità» governativa. Gli assetti strutturali della politica economica sono guidati da un’agenda Draghi permanente e inscalfibile nei suoi fondamenti. Così come la loro proiezione globale garantita da Usa-Nato. Non c’è nessuna garanzia, invece, per l’idea di Paese che scaturisce dalla Costituzione firmata il 27 dicembre 1947 dal Presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini.
Tutte le forme-fascismo in Italia sono state nemiche della nostra Carta costituzionale. La qual cosa, del resto, è del tutto naturale, visto che la Carta ha potuto vedere la luce proprio perché il fascismo è stato sconfitto in una guerra civile. La «novità» manifestata nel 1994, e quella rappresentata da Meloni alla guida dell’esecutivo, hanno inaugurato una fase che la forma-fascismo attuale ritiene, a ragione, particolarmente favorevole per intervenire pesantemente sui principi ispiratori della Carta.
Questa è la posta in gioco che si è aperta il 25 settembre 2022. Il processo di ricostruzione della sinistra dovrà avere piena consapevolezza del significato del fronte decisivo aperto, in ottemperanza ad una antica esigenza sentita come missione, dalla giovane minuta e bionda che ci governa. |