Il commento della settimana Alberto Negri | Se si arrivasse a un’intesa tra Putin ed Erdogan in Libia, questa sarebbe una sorta di risposta all’accordo di Abramo tra Israele, Emirati e Bahrain voluto da Trump, una finta pace che serve a rafforzare un fronte anti-iraniano e anti-turco.
Per Mosca si tratta di allentare la pressione degli Stati Uniti che hanno imposto sanzioni al gasdotto Nord Stream in Germania ancora prima che esplodesse il caso Navalny e la rivolta contro Lukashenko in Bielorussia.
Non avendo preso parte alla devastante caduta di Gheddafi nel 2011, avviata da Francia, Usa, Gran Bretagna e alla quale ha partecipato anche l’Italia, la Russia vuole fare della Libia una nuova base che le permetta di estendere la sua influenza al Maghreb e all’Africa subsahariana consolidando la presenza acquisita nel Mediterraneo con la guerra siriana a difesa di Bashar Al Assad. Per questo i russi hanno appoggiato con gli Emirati, l’Egitto e la Francia l’ascesa in Cirenaica di Haftar fornendo armi e mercenari tra cui la ben nota Compagnia Wagner.
Gli Emirati, protagonisti dell’accordo di Abramo, sono stati quelli che hanno investito di più sul generale in funzione anti-Fratelli Musulmani mettendo in campo i mercenari di Erik Prince, ex capo della Blackwater, anello di congiunzione tra i servizi israeliani e a Abu Dhabi.
In Libia i russi si muovono con pragmatismo e cinismo, giocando anche su più tavoli, tenendo in serbo da riciclare anche la carta Saif al-Islam, il figlio di Gheddafi che negli ultimi tempi ha fatto la spola tra Zintan e Mosca.
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