Il commento della settimana Alessandro Portelli | Luigi Pintor per un 25 aprile di qualche anno fa scriveva: «100 di questi giorni». Io aggiungerei: 365 di questi giorni, 25 aprile tutto l’anno. Spiegava Alfonso Di Nola, un grande etnologo e compagno, che le feste tradizionali costituiscono un’intensificazione dei rapporti comunitari e l’emersione liberatoria di valori e desideri alternativi a quelli che dominano la vita di tutti i giorni.
Anche le feste del calendario civile, di cui fa parte il 25 aprile, intensificano i rapporti sociali, ma – a differenza delle feste tradizionali – non praticano per un giorno valori alternativi ma ribadiscono i valori e i rapporti che dovrebbero valere tutti i giorni e che, nel nostro caso, hanno un nome: Costituzione.
Il 25 aprile è il giorno in cui ci ricordiamo che la Costituzione e l’antifascismo sono pratica quotidiana, non celebrazione occasionale.
Io sono cresciuto e mi sono formato in un’Italia dove della Costituzione non si parlava, dove a scuola l’educazione civica era materia marginale e vista con sospetto e la Resistenza non sapevamo neppure che fosse.
Quando, direi negli anni ’60, ho cominciato a sentir parlare di «Costituzione nata dalla Resistenza» mi sono chiesto: che significa?
Intanto, significa che se non avessimo avuto la Resistenza non avremmo potuto scriverci da soli la nostra Costituzione ma l’avremmo ricevuta – come il Giappone – dalle potenze occupanti. Dubito che una Costituzione regalata dai vincitori-alleati avrebbe avuto quell’incipit fulminante: «L’Italia è una repubblica democratica».
Non è solo questione di genesi, ma anche di spirito e di contenuti (a proposito, dicono i nostri governanti eredi del fascismo: nella Costituzione l’antifascismo non è nominato. Leggono male: è scritto nella prima riga, il fascismo è dittatura e una repubblica democratica è il suo opposto).
Io ho cominciato a capire il rapporto fra Resistenza e Costituzione quando mi sono reso conto che la Costituzione si fonda su un principio di cittadinanza attiva (il popolo che «esercita» la sovranità), articolato attraverso una serie di strumenti (la libertà di pensiero e di parola, i sindacati, i partiti, la scuola pubblica), e che questo principio aveva le origini nella libera e volontaria scelta dei partigiani.
Nessuno ha fatto la Resistenza se non per propria scelta, non ho mai sentito un partigiano dire che obbediva a un ordine.
Marisa Musu, partigiana: «Non l’abbiamo mai detto e non lo diciamo oggi via Rasella l’ho fatto perché lo volevano gli americani o perché lo voleva il mio comandante… Lo volevo io». Maria Teresa Regard, partigiana: «Io l’8 settembre sono andata là, ai combattimenti di porta San Paolo, ma ci sono andata per il mio paese, per Roma, per salvare Roma, non ci sono andata perché me l’ha detto il partito Comunista. Il partito mica ci ha detto di andare là. Pensavano che dovevano essere comandate. Io invece sono andata là e ho detto così stanno le cose, bisogna cacciare i tedeschi da Roma».
Dopo vent’anni di «credere obbedire e combattere» hanno smesso di obbedire e hanno scelto loro in che cosa credere e per che cosa combattere.
Gli uomini e le donne che hanno fondato la repubblica hanno ispirato la loro opera a questa idea di cittadinanza, ma hanno peccato di ottimistica ingenuità, dando per scontato che i principi che li animavano fossero definitivi e condivisi.
Erano convinti che il principio democratico dell’uguaglianza partecipata fosse connaturato alla democrazia tanto da estendersi implicitamente anche al suo meccanismo principale: una persona un voto, ogni voto conta uguale ed è ugualmente rappresentato nelle istituzioni.
Così hanno scritto una Costituzione impregnata di principi proporzionali (basta vedere i quorum necessari alla sua riforma) ma non hanno pensato di metterli per iscritto.
L’erosione della Costituzione è cominciata proprio nel momento in cui, col consenso attivo della sinistra, abbiamo sostituito alla centralità della partecipazione e della rappresentanza la centralità della governabilità e della delega, introducendo una logica maggioritaria grazie alla quale la destra post (?) fascista oggi può pensare di manomettere la Costituzione (premierato, autonomia differenziata) grazie alla sproporzionata maggioranza che le garantiscono leggi elettorali che vanno non contro la lettera ma contro lo spirito stesso della Costituzione.
Allo stesso modo, hanno dettato nei primi gloriosi dodici articoli della prima parte i “principi fondamentali” e gli impegni e le funzioni dello stato, ma non hanno ritenuto necessario dotarli di quelli che in America chiamano «i denti» – cioè gli strumenti per imporre che questi principi fossero applicati, che questi impegni fossero rispettati.
Per esempio, l’articolo 9 (emendato e arricchito nel 2022): «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
E se la Repubblica non lo fa, o fa esattamente il contrario, come possiamo obbligarla a farlo, che strumenti abbiamo?
O l’indimenticabile articolo 3: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
E se la Repubblica non lo fa, e l’Italia – uno dei paesi più disuguali dell’occidente – diventa sempre più disuguale, noi che possiamo fare, a chi facciamo causa, a chi ci possiamo rivolgere?
Bene, ce lo spiega proprio l’articolo 1: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita…». Allora: la Repubblica non è solo le istituzioni, il governo, l’apparato dello stato; la repubblica sono i cittadini, lo stato siamo noi, e siamo sovrani e abbiamo il compito di esercitare questa sovranità.
Tutelare la cultura, il paesaggio, l’ambiente, rimuovere gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, ripudiare la guerra, è prima di tutto compito nostro.
Se il territorio va in sfacelo, se l’Italia è disuguale, se spendiamo più per la guerra che per la scuola, è anche perché noi cittadini abbiamo trascurato la cura del territorio e indebolito la lotta per l’uguaglianza e per una politica attiva di pace.
Perciò, ricordiamoci che ricordare e manifestare il 25 aprile, come su invito di Luigi Pintor facemmo a Milano quasi trent’anni fa (e tornare a farlo il 1 maggio, e l’8 marzo…) non è solo un atto di protesta e di lotta contro chi ci governa e chi non ci rappresenta, ma è soprattutto un modo per ricordare a noi stessi la nostra responsabilità, il nostro compito di esercitare, ogni giorno, la sovranità che la Resistenza ci ha conquistato. |