Il commento della settimana Antonio Floridia | Dunque, la situazione è precipitata: e si va al voto con l’attuale, nefasta legge elettorale. E a breve, tutti saranno impegnati a preparare le liste e a costruire le coalizioni. Per questo è opportuno ricordare alcuni “dettagli” di questo sistema elettorale, la legge del Rosatellum, che tanto “tecnici” non sono; anzi, hanno delle forti implicazioni politiche, ed è giusto quindi ricordarli. Quanti si apprestano a compiere le loro scelte strategiche devono attentamente considerarli.
Il Rosatellum, com’è noto, è un sistema “misto”, o meglio sarebbe dire “ibrido”: dopo la riduzione del numero dei parlamentari, ci saranno alla Camera 147 eletti in altrettanti collegi uninominali maggioritari, 8 eletti all’estero, e 245 eletti con il sistema proporzionale (tralasciamo qui il Senato, ma con numeri diversi, il rapporto è questo).
Un aspetto cruciale è legato alle forme di espressione del voto, un voto unico, e strettamente “vincolato” (ricordiamolo bene, il voto “disgiunto” annulla la scheda): se si vota una lista, si vota necessariamente anche il candidato uninominale collegato (che una lista deve sempre indicare); se si vota solo il candidato uninominale, questi voti “esclusivi” vengono comunque redistribuiti proporzionalmente tra le liste di sostegno.
Non occorrono raffinate simulazioni per comprendere un semplice dato di fatto: se una coalizione ottiene il 40-45% dei voti, e lo fa in maniera abbastanza omogenea in tutto il territorio nazionale, e se, dall’altra parte, i suoi contendenti sono divisi tra due o tre coalizioni e alcune liste “isolate”, è del tutto evidente che la coalizione vincente conquisterebbe gran parte dei 147 seggi uninominali e poi una percentuale dei seggi proporzionali analoga alla percentuale dei voti ottenuti. In tal modo, ecco il punto, potrebbe pericolosamente avvicinarsi a quei due/terzi di parlamentari che possono approvare delle modifiche costituzionali, senza possibile ricorso al referendum.
Traduciamo tutto ciò nell’attualità politica: non servono i sondaggi, è evidente che la destra fascio-leghista con l’appendice berlusconiana, per quanto molti stracci siano volati in questi mesi, è compattata dal succulento bottino di seggi che già assapora. E non credo che possa andare sotto al 40% dei voti. Dall’altra parte, al “centro” e a sinistra, si sta profilando un totale sfrangiamento: centristi di varia natura, Pd, M5S, sinistra con il Pd sinistra fuori dal Pd… Insomma la via più certa non solo per una sconfitta, ma per una totale disfatta, che può mettere a rischio la Costituzione.
Si illudono tutti quelli che pensano che aver fatto cadere Draghi penalizzi la destra: la base di consenso della destra italiana, avremmo dovuto oramai capirlo, è radicata profondamente nella cultura e nella storia del nostro paese, ed è un qualcosa che sfugge alla vicende elettorali contingenti (una campagna di pochi giorni, tra agosto e settembre, potrebbe davvero portare a tali sconvolgimenti ? E poi, è sicuro il Pd che l’”agenda Draghi” sia un qualcosa che entusiasmi gli italiani?).
Sembra quindi che ci si avvii, un po’ incoscientemente, verso il baratro. Il gioco del momento è quello di proclamare “mai con questo, mai con quello”, “meglio soli che male accompagnati”, e così via: ma ci si rende conto di dove si va a parare? È evidente che l’unica possibilità, per sperare quanto meno contenere i danni, è quello di costruire, non una “coalizione politica”, ma un “cartello elettorale”, che possa evitare il “cappotto” della destra nei collegi uninominali: potremmo definirla una sorta di “alleanza costituzionale”. È una proposta ingenua o irrealistica? Forse, ma se c’è qualcuno che ha idee migliori si faccia avanti.
Proprio per i caratteri che ho descritto sopra, le “coalizioni” previste dal Rosatellum sono più che altro degli “apparentamenti”, con legami molto deboli, come mostra l’esperienza. E allora, diamo un senso puramente “tecnico” e non politico alla formazione di una coalizione: ogni lista che supera il 3% ha diritto ai propri seggi, e faccia campagna per sé, ma questi voti, sommandosi ad altri, possono concorrere ad evitare che i 147 seggi uninominali siano tutti o quasi vinti dalla destra.
Non un “campo largo” che abbia una base politica, oramai affossato, ma un accordo “tecnico” (che però si fondi su un elemento politico unificante e cruciale: mettere al sicuro la Costituzione), quanto più ampio possibile. La questione riguarda tutti, comprese tutte le liste a sinistra del Pd: i gruppi dirigenti di questi gruppi devono attentamente considerare, tra l’altro, che in questo modo possono sfuggire alla presa del “voto utile”, che non è un ricatto di qualcuno, ma una logica elementare che guida le scelte degli elettori e che li spinge a non sprecare il proprio voto.
Non è tempo di fare gli schizzinosi: servono i voti di tutti, e se qualcuno (a sinistra o al ”centro”) mette “veti” su questo o quello, sarà allora chiaro che farà un gioco “a perdere”, che avvantaggia solo la destra.
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