Ho sentito in qualche podcast e letto su qualche giornale una sorta di “esaltazione” di Macron, con annesso elogio del “fine mandato” - dovrebbe trattarsi di Morning del Post e di Mattia Feltri sulla Stampa. Il sensomdi quanto sostenuto e ribadito è più o meno questo: ora che è a fine mandato, Macron è “libero” dalla ricerca del consenso e può “finalmente” fare delle “riforme coraggiose”.
Ora, su questa affermazione ci sarebbe da fare tutta una serie di considerazioni - sul significato del consenso in politica, sul significato della dicitura “riforme coraggiose” ( e sulla violazione trentennale e sistemica della definizione di riformismo), che per motivi di spazio e di opportunità tralascio in questa sede. La vicenda della riforma delle pensioni in Francia, però, qualche riflessione la solleva - o almeno dovrebbe.
Vista dagli occhi di un lavoratore italiano di 37 anni - non essendo io un giornalista, posso allegramente parlare in prima persona, a differenza di Bartocci :) (ps: bel pezzo)- la vicenda, di primo acchitto, mi pare anche poco interessante: i cugini andranno in pensione a 64 anni, bontà loro e di Macron (che infatti, come letto sul Manifesto, ha citato la nostra famigerata legislazione per dirsi “buono”), io andrò in pensione a 70 anni - e la mia pensione mi esporrà al rischio povertà. Cose che so da prima ancora di cominciare a lavorare. Sono talmente abituato all’idea che, francamente, non mi scalda nemmeno più di tanto.
La vicenda francese è interessante perché la protesta si concentra su un obiettivo e un concetto. L’obiettivo [politico] è la messa in discussione della figura del piccolo principe, Emmanuel Macron: il giovin signore studiato che con la sua azione di governo spiega il mondo come va e lo indirizza, secondo i suoi studi neoliberali. Il concetto è, che oltre a discutere di età pensionabile e sostenibilità dei conti pubblici, la Politica dovrebbe tornare finalmente a capire che la Vita umana non può più essere ridotta a una serie di parametri econometrici e tabelle. Si campa di più? Bene. Lasciateci vivere di più, fateci vivere meglio - dicono i manifestanti. Un concetto così “semplice” eppure così potente perché riduce tutta la discussione al punto basilare di ogni ragionamento politico, di ogni formula di partecipazione.
Si fa politica - nelle istituzioni e nelle piazze- perché si (continua a) percepire la politica come strumento, via di riscatto sociale, collettivo e individuale (nel collettivo).
Non è forse questa l’essenza della politica attiva?
E non dovrebbe essere questa l’ambizione di una politica riformista, una politica che di passo in passo tenti di promuovere più diritti, meno disinguaglianze, insomma, gradualmente e brevemente Una Vita Migliore?
Ecco allora il nodo è tutto qui: se davvero Macron fosse riformista e se davvero fosse libero dall’inseguire potere per se stesso, potrebbe approfittare del suo ruolo per promuovere una vita migliore.
Invece è invischiato in un sistema neo liberale che si produce sempre uguale a se stesso e se vuole sopravvivere al suo mandato e guadagnarsi un ruolo europeo per proseguire la sua carriera, deve rimanere incardinato a quella logica che l’ha prodotto e promosso a Primo Cittadino di Francia.
Andrebbe ribaltata la Politica, andrebbe riacciuffato e capovolto il riformismo, si dovrebbe radicalmente ridefinire il concetto di qualità e sostenibilità della Vita.