Il commento della settimana Alberto Negri | Da Mosca a Washington, passando per Roma, siamo bombardati da menzogne a grappolo. Comincia a Roma l’incaricato d’affari americano Crowley (da tre anni – chissà perché – qui non c’è un ambasciatore Usa) il quale afferma alla tv di stato che l’Italia con l’accordo firmato con la Cina ha tutto da perdere: ma questo accordo sulla Via della Seta (tre paginette striminzite) non è stato mai attuato e gli Stati uniti e l’Unione europea hanno un interscambio con la Cina che è almeno dieci volte quello di Roma con Pechino. Scorrendo le cifre, nel 2022 la Russia è solo al decimo posto nell’interscambio con la Cina (190 miliardi di dollari), al primo posto i Paesi Asean (975) la Ue (847) Usa (759) Corea del Sud (362) Giappone (357) Taiwan (329) Hong Kong (305), Italia (57). La Cina, nonostante la guerra, rimane anche il maggior partner commerciale dell’Ucraina con un interscambio mensile di 2,3 miliardi di dollari. Ma è questo il dono che la presidente del consiglio Meloni ha portato nel suo incontro con Biden: stracciare un’intesa con i cinesi le cui cifre sono risibili, se non inesistenti, rispetto a quelle dei nostri alleati.
Eppure basta questo al nostro governo: fare un inchino alla Casa Bianca in cambio delle solite promesse americane di assegnare all’Italia un ruolo di primo piano nel Mediterraneo. Si tratta delle famosa “cabina di regia” che gli Usa, passando per Obama e Trump, avevano fatto balenare prima a Renzi, poi a Conte, quindi a Draghi e ora anche alla Meloni. Ovviamente non c’è stato né c‘è ora niente di concreto. Il nulla per il nulla.
Un momento, però. In oltre vent’anni l’Italia è stato il maggiore reggicoda mondiale degli Stati Uniti, complice delle più strampalate e sanguinose avventure militari inventate dagli americani. Abbiamo partecipato ai raid su Belgrado nel’99, alla guerra in Afghanistan nel 2001, in Iraq nel 2003 e abbiamo persino bombardato Gheddafi nel 2011 che solo sei mesi prima (il 30 agosto 2010) ricevevamo a Roma con il tappeto rosso, la tenda beduina e un nugolo di escort, alla presenza delle maggiori autorità di stato e di governo, con cinquemila imprenditori con il cappello in mano davanti al rais libico.
È evidente che la nostra politica estera non esiste. Ditelo magari anche alla presidente del Consiglio Meloni che Mattei aveva ricevuto l’incarico per ordine degli Usa di liquidare l’Agip nel dopoguerra: non solo non lo fece ma fondò pure l’Eni. Fu a sua volta liquidato con un attentato al suo aereo nei cieli di Bascapè. Dovete pure informarla che ogni volta che l’Italia ha tentato una propria politica energetica (dal gasdotto Blue Stream al South Stream) Washington è sempre intervenuta per bloccarla. Ma qui abbiamo la memoria corta, anzi cortissima.
L’Italia, con le sue dozzine di basi Nato, è l’alleato più docile che gli Stati Uniti potessero trovare al mondo: pronto a recepire, con l’accompagnamento dei nostri media, ogni sciocchezza proposta da Washington, comprese quelle guerre citate prima che sono state dei veri e propri disastri. Certo anche noi ci mettiamo del nostro e tentiamo di contrabbandarlo come “politica estera”: dagli accordi di forniture belliche ad Al Sisi che hanno contribuito a liberare Patrick Zaki, all’intesa con la Tunisia sui migranti (che ricorda quella con la Libia) e che lascia la gente morire nel deserto ai confini libico-tunisini dove a Ras Jedir si fanno affari con uomini, merci e petrolio per 500 milioni di dollari l’anno. Ma questi, com’è risaputo, sono dettagli.
A proposito. A San Pietroburgo ieri la riunione tra Russia e Africa – dove Putin annuncia la fornitura del grano gratis entro 3-4 mesi ai Paesi africani – è stata l’occasione di una calorosa stretta di mano tra Putin e Al Sisi (dal 2014 i due si sono visti ogni anno). Ovvero tra il maggiore nemico dell’Ucraina e della Nato e uno dei più importanti alleati degli Stati Uniti che sta facendo la pace con Erdogan, altro autocrate, sultano dell’Alleanza Atlantica e anche amic o (per opportunismo geopolitico) del leader russo. La Russia è uno dei maggiori partner del Cairo, la Turchia è l’unico Paese della Nato che non ha messo sanzioni a Mosca. Biden, annotava il 25 luglio Peter Baker sul New York Times, ha presentato la sua politica estera come una «battaglia tra democrazia e autocrazia», in realtà liscia il pelo ai dittatori e non fa nulla per difendere la libertà e i diritti umani, dall’Egitto alla Turchia a Israele, all’India.
Giorgia Meloni non sa come spiegare niente di tutto questo. Si adegua, quindi scende a patti con il generale egiziano, con il “reiss” turco e l’inguardabile presidente tunisino Saied. Tutto questo nella puerile speranza che gli Usa di Biden gli assegnino la famosa «cabina di regia» nel Mediterraneo e applaudano al suo Piano Mattei, che nessuno ha ancora visto. Buona fortuna a lei e un po’ anche a noi |