Vent’anni di seconda guerra del Golfo: l’Iraq dal 2003 al 2023
Cronologia Date e articoli per ricostruire l'invenzione della guerra voluta da Bush e Blair, la distruzione del paese e la divisione settaria del potere che ne è seguita. Fino all'oggi, tra movimenti per la democrazia e uno Stato fallito
Cronologia Date e articoli per ricostruire l'invenzione della guerra voluta da Bush e Blair, la distruzione del paese e la divisione settaria del potere che ne è seguita. Fino all'oggi, tra movimenti per la democrazia e uno Stato fallito
Breve cronologia per ricostruire la guerra del Golfo voluta da Bush e Blair. Le vicende politiche dell’Iraq dal 2003 a oggi.
2002
11 ottobre: A poco più di un anno dagli attacchi terroristici alle Torri Gemelle e al Pentagono, il presidente statunitense George W. Bush prosegue nella costruzione della narrazione di guerra: chiede e ottiene dal Congresso l’autorizzazione all’uso della forza al fine di “difendere la sicurezza nazionale degli Usa contro la minaccia posta dall’ Iraq ”.
8 novembre: Gli Stati uniti ottengono dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite l’approvazione della risoluzione 1441 con cui si chiede al governo iracheno di adempiere ai propri obblighi “in materia di disarmo” e di consentire l’ingresso nel paese e a tutti gli impianti di produzione di armi all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) e agli ispettori dell’Onu.
Ultimatum per adempiere alla risoluzione: il 15 novembre. Due giorni prima della scadenza il 13 novembre, Baghdad accetta la risoluzione: nel paese entra un team delle Nazioni unite, guidato da Hans Blix e Mohamed El Baradei, all’epoca a capo dell’Aiea.
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2003
28 gennaio: Nel discorso sullo stato della nazione, Bush afferma di aver ricevuto informazioni dal governo britannico secondo le quali “Saddam Hussein ha recentemente cercato di acquisite significative quantità di uraninio dall’Africa”. È il cosiddetto Nigergate: un presunto contratto tra Iraq e Niger per l’acquisto di 500 tonnellate di uranio impoverito, in violazione dell’embargo.
Per gli Usa la prova che Baghdad sta tentanto di realizzare l’atomica. Un documento che negli anni successivi si rileva falso, ma che già all’epoca del discorso di Bush solleva più di un dubbio: come sarebbe stato possibile spostare un simile quantitativo di uranio via terra (via aria era impossibile) senza che nessuno avesse notato il passaggio di innumerevoli camion dalle frontiere dei paesi attraversati?
30 gennaio: Nei rapporti presentati da Blix e El Baradei si afferma che con estrema probabilità l’Iraq non possedeva all’epoca un programma atomico né armi di distruzione di massa. Si chiede più tempo per un giudizio definitivo.
5 febbraio: In un intervento passato alla storia Colin Powell, segretario di Stato Usa, mostra delle fiale in Consiglio di Sicurezza affermando che si tratta delle armi di distruzione di massa irachene e citando fonti anonime come testimoni oculari (poi individuati e ampiamente smentiti: in un caso, l’ingegnere chimico Rafid Ahmed Alwan Al-Janabi dirà anni dopo di essersi inventato tutto).
Powell si sofferma anche sui rapporti di Onu e Aiea senza però citarne le parti più consistenti, ovvero l’assenza di prove dell’esistenza di un programma nucleare iracheno. Lo stesso Blix, nei giorni successivi, ribadisce l’inesistenza di prove sul mancato rispetto da parte di Baghdad della risoluzione Onu. Infine Powell parla dei presunti legami tra Baghdad e al Qaeda, smentiti dallo stesso Pentagono.
15 febbraio: In tutto il mondo le piazze si riempiono chiedendo la pace. Il movimento pacifista, “la seconda potenza mondiale” come la definirà il New York Times, si dipana nelle più grandi città del mondo con oltre 110 milioni di persone in piazza per impedire l’invasione dell’Iraq. Un movimento che avrà degli effetti: alcuni governi, a partire da Francia e Germania, rifiutano di entrare a far parte della cosiddetta “coalizione dei volenterosi” voluta da George W. Bush.
La coalizione che nascerà – 48 paesi, tra cui Regno unito, Italia, Spagna, Turchia, Australia. Corea del Sud, Giappone, Portogallo, Ucraina, ma composta per lo più di piccoli paesi che non invieranno nessuna truppa, dalle Isole Marshall alle Salomone, da Palau al Ruanda – sarà monopolizzata dalle forze statunitensi, l’87% del contingente che invaderà e occuperà l’Iraq.
20 marzo: Parte l’operazione Iraqi Freedom. In un solo mese le forze statunitensi e britanniche occupano l’intero paese e provocano la morte di 100mila iracheni. Se ne conteranno un milione alla fine del decennio, per bombardamenti e cause indirette.
9 aprile: In piazza Firdos a Baghdad viene abbattuta la statua di Saddam Hussein, con la scarsa partecipazione degli iracheni. È il giorno della caduta della capitale e della fuga del raìs. L’Iraq è trascinato nel caos: saccheggi, bombardamenti (30mila bombe e 20mila missili Cruise), distruzioni che il 21 aprile portano Bush a dichiarare la missione compiuta. Lo ribadirà il primo maggio dalla portaerei Lincoln: “Mission accomplished”, dirà proclamando la fine delle ostilità. Una farsa.
22 maggio: Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con la risoluzione 1483, riconosce all’unanimità Stati uniti e Gran Bretagna “forze occupanti” e invita le due potenze a stabilizzare il paese e a trasferire i poteri a un autogoverno iracheno.
12 novembre: Un camion cisterna pieno di esplosivo scoppia all’ingresso della base Maestrale a Nassiriya, sede delle forze italiane e rumene in Iraq. L’attentato provoca 28 morti, di cui 19 italiani e nove iracheni.
13 dicembre: Saddam Hussein viene catturato a Tikrit, sua città natale. Era l’asso di picche del famoso mazzo di carte da poker “Most wanted Iraqis” (52, una per ogni dirigente iracheno ricercato) ideato dall’esercito americano.
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2004
Aprile 2004: La Cbs News, testata statunitense, pubblica le terribili fotografie che documentano gli abusi e le torture commessi dai militari Usa nella prigione di Abu Ghraib, simbolo della repressione di Saddam, poi riaperta dalle forze occupanti. Già dal luglio precedente, Croce Rossa e Amnesty International avevano denunciato i maltrattamenti e le torture contro i prigionieri.
Aprile-settembre 2004: Tra la primavera e l’autunno di quell’anno diversi italiani vengono rapiti da gruppi jihadisti: quattro contractor – Fabrizio Quattrocchi (poi ucciso), Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio –; il giornalista freelance Enzo Baldoni, rapito e ucciso; le due cooperanti Simona Pari e Simona Torretta di Un Ponte Per, liberate dopo il presunto pagamento di un riscatto.
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2005
30 gennaio: In Iraq si svolgono le prime elezioni nazionali per scegliere i 275 deputati della nuova Assemblea nazionale. Nei giorni successivi escono i risultati: con il 48% dei consensi vince l’Alleanza nazionale irachena, composta da 22 partiti sciiti. Sono le prime elezioni libere dopo decenni di partito unico, ma anche le prime in cui lo spettro politico iracheno si divide in fazioni confessionali. Il 15 gennaio il parlamento viene convocato per la prima volta.
4 febbraio: La giornalista de il manifesto, Giuliana Sgrena, viene rapita nella capitale irachena. Il 19 febbraio mezzo milione di persone a Roma scendono in piazza per chiederne il rilascio. Sarà rilasciata un mese dopo, il 4 marzo 2005. Una liberazione drammatica: vicino all’aeroporto di Baghdad i militari statunitensi aprono il fuoco sull’auto dei servizi italiani con a bordo Sgrena, l’autista Andrea Carpani e il funzionario Nicola Calipari, che aveva condotto la trattativa per la liberazione. Calipari viene ucciso, Sgrena e Carpani feriti.
15 ottobre: La Costituzione redatta dal parlamento viene sottoposta a referendum: è approvata con il 78% dei sì, per lo più di curdi e sciiti. Nasce così il nuovo sistema di potere iracheno che istituzionalizza la settarizzazione dell’Iraq e la spartizione delle cariche – e dei poteri – su base religiosa ed etnica: la premiership a uno sciita, la presidenza del parlamento a un sunnita e la presidenza della Repubblica a un curdo.
19 ottobre: Inizia il processo contro Saddam Hussein di fronte a un tribunale spciale iracheno. È accusato di crimini contro l’umanità per il massacro di 148 sciiti nel 1982, nel villaggio di Dujail. Il 21 agosto 2006 si aprirà un secondo processo, stavolta con l’accusa di aver sterminato, nella seconda metà degli anni Ottanta, tra i 100mila e i 180mila curdi nella campagna Anfal, in cui furono ampiamente utilizzate armi chimiche.
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2006
5 novembre: Saddam Hussein viene condannato a morte per impiccagione (lui aveva chiesto di essere fucilato). Il successivo 26 dicembre la Corte d’Appello conferma la condanna. Se i paesi occupanti, Gran Bretagna e Stati uniti (il presidente Bush la definirà “un grande risultato per la giovane democrazia irachena”) si esprimono a favore, l’Unione europea ribadisce la propria contrarietà alla pena capitale, voce a cui si uniscono quelle delle principali organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch.
30 dicembre: Alle 6 del mattino ora irachena, l’ex raìs muore impiccato.
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2004-2008
Sono gli anni in cui esplode una dinamica già sorta nei mesi e gli anni successivi all’invasione: l’insurgenza armata di movimenti di diversa estrazione politica e confessionale, sia sunniti che sciiti (in questo caso la parte del leone sarà giocata dall’Esercito del Mahdi, formazione guidata dal religioso sciita Moqtada al-Sadr) che prendono di mira gli eserciti invasori. Attacchi a cui si aggiungono attentati tra comunità, con le moschee che diventano luoghi tra i più pericolosi per la popolazione.
Ad accendere le divisioni interne sono soprattutto le politiche discriminatorie messe in atto dal primo ministro Nouri al-Maliki e volte alla marginalizzazione politica ed economica della minoranza sunnita che sotto Saddam aveva governato il paese attraverso il partito Baath. Una vendetta a posteriori che provocherà proteste e rivolte nelle zone dell’ovest, dove la popolazione è a maggioranza sunnita, e che scaveranno un solco tra comunità.
A godere degli effetti della discriminazione istituzionale – a cui si è sommata la de-baathizzazione delle istituzioni e le purghe dentro le forze armate – saranno i movimenti jihadisti, che assisteranno in quegli anni a una crescita in termini di miliziani e di risorse con pochi precedenti.
Già nel 2004 al Qaeda – che con il precedente regime iracheno non aveva legami, come ampiamente dimostrato da numerosi report e inchieste successivi – monopolizza l’estremismo islamista iracheno. Dal suo ventre nascerà il gruppo che negli anni a venire il mondo imparerà a conoscere come Stato islamico in Iraq. Nel 2006 il leader di al Qaeda in Iraq, Abu Musab al-Zarqawi, considerato il “padre” dell’Isis, viene ucciso dalle forze statunitensi.
Nel 2008 il governo iracheno e quello statunitense firmano l’Us-Iraq Status of Forces Agreement che impegna Washington al ritiro dalle città irachene entro il 30 giugno 2009 e al ritiro completo delle forze militari entro il 31 dicembre 2011. Come conseguenza nel giugno 2009 le truppe statunitensi passano i compiti di sicurezza a quelle irachene, pur proseguendo nella formazione dei soldati locali.
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2011-2013
Il 18 dicembre 2011 si completa il ritiro delle truppe di invasione e occupazione dall’Iraq: il bilancio è devastante, un milione di iracheni uccisi dalla guerra e dalle sue conseguenze. Intanto la guerra siriana comincia a produrre i suoi effetti sul paese vicino: la crescita – fomentata da aiuti finanziari e militari delle monarchie del Golfo – dei gruppi jihadisti in Siria supera il poroso confine permettendo l’ingresso in Iraq di un numero sempre maggiore di miliziani che andranno a moltiplicare le fila dello Stato islamico.
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L’ecatombe della «guerra al terrore»Ma ad avere effetti sono anche le primavere arabe del 2011 che in Iraq si traducono in proteste popolari contro il governo. Negli anni successivi, 2012 e 2013, si intensificano le proteste della comunità sunnita, duramente represse dal governo.
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2014
Forte del sostegno di ex ufficiali baathisti (che aderiscono per spirito di rivalsa più che per ragioni ideologiche) lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante inizia la sua avanzata nel paese.
4 giugno: In appena 48 ore occupa Mosul, seconda città irachena, grazie alla precipitosa fuga dell’esercito iracheno (molto meno numeroso che sulla carta a causa della cosiddetta pratica del “soldato fantasma”) che lascia dietro di sé equipaggiamento militare, denaro e prigioni incustodite.
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Obiettivo Mosul (fotoreportage)10 giugno: Perso il controllo dei confini con Siria e Giordania, il primo ministro iracheno al-Maliki dichiara lo stato di emergenza. Nei giorni successivi l’Ayatollah al-Sistani, massimo riferimento religioso sciita, invita la popolazione a prendere le armi per difendersi dall’Isis.
29 giugno: Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’Isis ed ex prigioniero nella prigione statunintese in territorio iracheno di Camp Bucca, dalla moschea al-Nouri di Mosul si autoproclama califfo. Inizia un’occupazione che arriverà a coprire un terzo dell’Iraq e che provocherà lo sfollamento di milioni di persone. Terminerà solo nel dicembre 2017.
L’agosto successivo, al-Maliki – accusato da più parti di essere il responsabile della marginalizzazione e la radicalizzazione della comunità sunnita e di un livello di corruzione inimmaginabile che ha impedito la ricostruzione del paese – sarà sostituito da Haider al-Abadi.
Agosto: A seguito del tentato genocidio del popolo ezida, nella regione irachena di Shengal, da parte dell’Isis – con il sostegno indiretto delle forze militari del Kurdistan in Iraq, i peshmerga, che si danno alla fuga – il presidente statunitense Obama annuncia la nascita di una coalizione internazionale contro l’Isis che da allora sarà impegnata sia in Siria che in Iraq e che si renderà responsabile negli anni successivi dell’uccisione di centinaia di civili.
Intanto a Shengal, l’Isis massacra migliaia di uomini e rapisce 6.300 donne e bambini, mentre centinaia di migliaia di civili si riversano sul Monte Shengal in cerca di salvezza. Saranno portati in salvo dal corridoio umanitario aperto dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) e dalle unità curdo-siriane Ypg e Ypj.
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2015-2017
All’occupazione territoriale, l’Isis unisce una strategia di attentati nelle zone sotto il controllo del governo. I peggiori nel 2016: il 17 maggio Baghdad viene sconvolta da una serie di attacchi che provocano oltre cento morti; il 3 luglio in un’altra serie di attentati coordinati l’Isis uccide 340 persone nel quartiere di Karrada dopo il tramonto e la rottura del digiuno nel mese sacro di Ramadan.
Nel mirino finisce di nuovo la gestione della sicurezza da parte del governo, accusato di incapacità a mantenere il controllo anche nella stessa capitale, nonostante la presenza di innumerevoli checkpoint che rendono invivibile la quotidianità delle persone.
Nel luglio 2016 il rapporto “The Iraq Inquiry”, meglio noto come Rapporto Chilcot, inchiesta del governo britannico sull’adesione all’invasione da parte di Londra, si conclude con l’accusa all’allora premier Tony Blair di aver mentito alla nazione e al mondo pur di mantenersi fedele all’alleato americano e di intraprendere un’avventura militare di cui già conosceva gli effetti devastanti per la popolazione irachena e la regione.
A dicembre 2017 al-Abadi dichiara la liberazione di tutte le città e i villaggi occupati dall’Isis e dei confini con la Siria. Pochi mesi prima, nel settembre 2017 – con una mossa considerata da più parti suicida – il presidente della Regione del Kurdistan iracheno, Masoud Barzani, aveva indetto un referendum per l’indipendenza dal governo centrale di Baghdad.
I sì avevano raggiunto il 92% ma l’indipendenza era fallita per la contrarietà delle potenze occidentali e della Turchia che, con blocchi aerei e finanziari, costrinsero Barzani al passo indietro.
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2018-2019
Nell’estate 2018 iniziano (o meglio, riprendono) una serie di proteste popolari che si concentrano nel sud a maggioranza sciita, particolarmente colpito dalla carenza di servizi e da continui blackout elettrici a fronte di una ricchezza petrolifera affidata alle compagnie internazionali.
I manifestanti chiedono lavoro e servizi e in poco tempo la rabbia si allarga ad altre province prendendo di mira la classe politica nella sua interezza, considerata la responsabile della sparizione di miliari di dollari in corruzione e dell’alto tasso di disoccupazione. L’Iraq è sempre più povero e i servizi inesistenti peggiorano drasticamente la vita della popolazione. Di un sistema sanitario all’avanguardia e della scuola pubblica non resta che il ricordo.
Ma sarà l’anno successivo che le proteste assumeranno un carattere nazionale e dimensioni enormi: il primo ottobre 2019 inizia quella che sarà ribattezzata la Rivoluzione d’Ottobre, una mobilitazione popolare che coinvolge milioni di iracheni, soprattutto a Baghdad e nel sud, e che porta nelle piazze tantissimi settori della società: giovani, studenti, disoccupati, professionisti, uomini e donne, sciiti, sunniti e cristiani che chiedono a gran voce la fine del settarismo di Stato e la nascita di un sistema democratico e laico, che superi le divisioni artificiali e combatta corruzione e diseguaglianze socio-economiche.
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Tahrir ha svelato cosa può essere l’Iraq liberoLa risposta del governo e delle milizie sciite legate all’Iran (riunite sotto l’ombrello delle Hashd al-Shaabi, o Pmu) è sanguinosa: nella repressione, durata mesi, contro i presidi dei manifestanti che non intendono smobilitare vengono uccise oltre 600 persone.
La rivolta prosegue nel 2020, per rallentare con l’arrivo della pandemia di Covid-19, sfruttata dal governo per rimuovere gli accampamenti. Ma le morti proseguono: nei mesi e negli anni successivi decine di attivisti verranno uccisi nelle strade di tutto il paese senza che nessuno paghi mai per i loro omicidi.
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2020
3 gennaio: Un drone statunitense, su ordine del presidente Usa Trump, colpisce all’aeroporto di Baghdad il convoglio su cui viaggiavano il generale iraniano Qassem Soleimani, capo dell’unità Al Quds delle Guardie rivoluzionarie, e Abu Mahdi al-Muhandis, leader delle Kataib Hezbollah e vice comandante delle Hash al-Shaabi. Uccisi entrambi.
9 aprile: Su pressione della piazza il premier Adel Abdul Mahdi si dimette, al suo posto viene nominato Mustafa Kadhimi, ex capo dei servizi segreti e uomo considerato vicino alla Turchia, che nei mesi successivi porrà definitivamente fine alla rivolta popolare.
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Torna la primavera, versione Shengal9 ottobre: Il primo ministro al-Kadhimi e quello del Kurdistan iracheno, Masrour Barzani, con la supervisione delle Nazioni unite nella persona dell’inviata Jeanine Hennis-Plasschaert, firmano il cosiddetto “Accordo di Sinjar” volto allo smantellamento dell’Amministrazione autonoma che il popolo ezida, liberatosi dall’Isis, ha creato nella regione nord-occidentale irachena, e volto alla consegna delle armi da parte delle unità di autodifesa popolare ezida, Ybs e Yjs. L’accordo viene siglato senza consultare la comunità ezida. Mai approvato dal parlamento iracheno, non è stato ancora messo in pratica.
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2021-2022
Le elezioni di ottobre 2021 si concludono con la vittoria del blocco sciita sadrista, che ottiene 73 seggi su 329. Il blocco sciita avversario, formato dal partito State of Law dell’ex premier al-Maliki e dalla coalizione Fatah (composta dalle diverse milizie sciite filo-iraniane parte delle Pmu), viene sconfitto: ottengono, rispettivamente, 33 e 17 seggi, probabilmente a causa della dura repressione delle proteste del 2019-2020.
Altro effetto della repressione è la vasta astensione, fondata su una chiamata al boicottaggio da parte delle forze più progressiste e dei movimenti di piazza. Alle elezioni seguirà un lungo periodo di stallo politico per l’incapacità delle varie forze politiche di formare un governo.
Il 27 luglio 2022 migliaia di sostenitori del movimento sadrista prendono d’assalto la Zona Verde, area super fortificata della capitale dove hanno sede le istituzioni irachene e le ambasciate straniere, ed entrano in parlamento. Nel mese successivo gli scontri tra sadristi e forze di sicurezza monteranno, sia a Baghdad sia nel sud sciita fino a fine agosto quando al-Sadr annuncerà il ritiro dalla politica, una mossa già giocata svariate volte in passato e a cui nessuno è sembrato credere.
Un governo nascerà solo il 27 ottobre 2022, dopo le dimissioni in massa – come forma di protesta – dei 73 deputati sadristi. Nuovo primo ministro l’ex ministro per i diritti umani Mohammed Shia al-Sudani, vicino ad Al-Maliki.
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